Roma, 19 marzo 2018 – Ho avuto la fortuna di conoscere il signor Giuseppe. Novantuno anni molto ben portati. “Ho appetito” mi dice e forse è questa la sua fortuna, come il fisico asciutto e la forza muscolare che ha avuto per tutta la vita. Certo, qualche volta la memoria gli fa brutti scherzi, ma alla sua età è perdonabile.
Con lui e la splendida signora Tina (la moglie, che cucina meravigliosamente) ho passato un pomeriggio nella loro casa di Florange, in Lorena, regione del nord-est della Francia.
Qui il signor Giuseppe è arrivato una sessantina di anni fa, dopo le mille peripezie di una vita passata alla continua ricerca del denaro necessario per vivere. Nato in Sicilia, ove imparò a fare il calzolaio, un mestiere che ricorda ancora con il sorriso sulle labbra.
Ma per vivere non bastava e allora si arrangiava portando la farina di nascosto dal paese a Palermo. “Salivo sul tetto del treno, un compare mi aiutava a tirare su i sacchi con una corda e poi andavo – ci dice alzando le spalle e allargando le braccia – dovevo mangiare e far mangiare la famiglia, perché papà era morto. Cosa potevo fare? Mi arrangiavo come potevo”. E treno dopo treno cominciò a girare l’Italia. Arrivò a Padova (“Che bei ricordi” aggiunge) e poi partì per la Francia, per Marsiglia, dando inizio alla sua vita di emigrante.
Erano tanti, in quegli anni, gli emigranti italiani, che andavano all’estero per trovare quel lavoro che mancava da noi e tutti si adattavano a fare quello che serviva.
Non stavano a bighellonare e a chiedere l’elemosina fuori dai supermercati. Si davano da fare e quando il signor Giuseppe seppe che al nord della Francia c’erano le miniere di carbone e che i minatori guadagnavano bene, lasciò il sole di Marsiglia e partì per le piogge e il freddo del nord-ovest della Francia.
“Senza paura, non ho mai avuto paura di niente – aggiunge – io lavoravo perché dovevo guadagnare per vivere e per mandare i soldi a casa e la miniera era una bella opportunità, perché il soldo che mi davano per fare quel lavoro in Francia, grazie al cambio, in Italia ne valeva quattro”.
Così il signor Giuseppe finì in miniera, a tirare fuori più carbone possibile, perché la giornata era pagata solo se il minatore estraeva almeno cinque metri di carbone. “E io ci riuscivo sempre, perché ero forte e dovevo guadagnare – afferma – con il martello pneumatico tiravo giù più carbone che potevo e quando seppi che se avessi lavorato la notte avrei guadagnato anche di più chiesi al capo di mettermi nel turno di notte. Perché, mi chiese lui. Perché devo guadagnare e perché devo mandare i soldi alla famiglia che ho lasciato in Sicilia, risposi. E feci il turno di notte. Il giorno, però, mica dormivo. Appena uscivo dalla miniera correvo a casa, mangiavo in fretta qualche cosa e andavo a fare il calzolaio nella bottega del paese. Così lavoravo giorno e notte”.
Grazie alla miniera il signor Giuseppe ha anche conosciuto la signora Tina, la figlia di un collega, che era arrivata in Francia anche lei dalla Sicilia, ad appena diciannove anni. “Il sole di casa mia mi è sempre mancato – mi interrompe lei – perché me lo ricordo quanto era bello quando ero giovane. Ma qui ho avuto una vita, tre figli meravigliosi e non mi posso certo lamentare”. Lei è l’ottimismo fatto persona.
Fidanzati, sposati, una vita insieme. E quando il signor Giuseppe seppe che in Lorena, regione ricca per la presenza dell’industria siderurgica, cercavano operai, lasciò la miniera e si trasferì a Florange, dove vive oggi e dove ha vissuto gran parte della sua vita lavorando in fabbrica.
“Non ho mai avuto paura” ripete orgoglioso di tutto quello che ha fatto nella sua dura vita di emigrante italiano del dopo guerra. Una vita simile a quella di tanti altri come lui, che con il lavoro, la fatica, la voglia di guadagnare per vivere e per mandare qualche soldo alla famiglia rimasta in Italia, hanno tenuto alto il nome dell’Italia all’estero.
Una storia che abbiamo voluto raccontarvi nel giorno della festa del papà per rendere omaggio a tutti questi papà italiani che in Francia, in Belgio, in Germania, in Svizzera (solo per restare all’Europa) hanno costruito le fortune della propria famiglia lavorando tanto, senza dipendere da nessuno, se non dalle loro braccia e dalla loro forza di volontà.
“E poi ho dovuto anche insegnare a questi francesi a giocare a scopa” conclude il signor Giuseppe, che ancora oggi una partita a carte la fa sempre volentieri. Anche io ci ho giocato e, per la cronaca, ho perso 15-0. “Mamma mia, 15-0. È una vita che gioco a carte ma 15-0 non avevo mai vinto con nessuno” mi dice mentre gli sorridono gli occhi.
Grazie signor Giuseppe e grazie a tutti quelli come lei. Figli di una vita difficile che siete riusciti a rendere più bella per voi e per le vostre famiglie con la fatica e l’orgoglio di non arrendersi mai.