Si fosse trattato di un figlio piccolo e di un padre giovane, qualcuno si sarebbe potuto facilmente inventare che il genitore non si volesse prendere le proprie responsabilità, ma con un precedente di ben 51 anni, passati sulla vita del figlio come su quella del padre, tale tesi non è ammissibile.
Un gesto di probabile terrore nell’immaginare quale potesse essere il futuro per il figlio, data l’età non più stabile del padre, fino a quando, infine, il padre non ci fosse stato più.
Ma anche nell’ipotesi di un atto proprio “folle”: cosa ci si sarebbe dovuto aspettare da un padre di tale età che vede, giorno dopo giorno, ripetiamo, un figlio in tali condizioni, con l’età che fa diminuire le proprie forze e le tante prove da affrontare? Non immaginiamo un fiorire di assistenze intorno a loro, dati i risultati. Comunque, se pure, e per ora non lo crediamo, nel caso in questione ci possano essere stati i supporti adeguati, sono migliaia gli altri casi, silenti o con vicende clamorose, di persone che, nel nostro Paese, hanno portato e portano avanti, abbandonate, in solitudine, le storie di propri cari o che, addirittura, da sole proseguono, allo stremo delle forze, la propria avventura di disagio.
La mancanza di mezzi adeguati nella disabilità fa scadere il senso della vita. E non deve essere, invece, consentito ad alcuno, nelle valutazioni pubbliche o nelle comunicazioni private, attribuire ad una vita la serie B.