Tematiche etico-sociali

Perché è stato ucciso Pier Paolo Pasolini? Perché un’inchiesta spezzata?

La nuova inchiesta di Simona Zecchi

Roma, 6 dicembre 2020 – A pochi giorni dal 45esimo anniversario dell’omicidio, la giornalista Simona Zecchi ha presentato il suo nuovo libro sul delitto Pasolini dal titolo “L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini” (Ponte alle Grazie).
In queste pagine l’autrice ci riporta nel clima della strategia della tensione.
Pierpaolo Pasolini muore ammazzato in quel modo da giornalista, non da scrittore scomodo”.
Sugli autori del delitto afferma: “Tre di loro sono ancora vivi”. Una ricerca di anni, raffrontando le carte del primo processo e quelle delle quattro nuove indagini.
“I Magistrati non hanno voluto ascoltare. Avevano già deciso di chiudere le indagini. Riaperte nel 2010 e chiuse dopo cinque anni, gli inquirenti hanno fatto indagini per certi aspetti approfondite. Ma non si sono volute vedere tante cose. Rispetto i Magistrati, ma ci sono aspetti che la Magistratura non vuole, non riesce o ha timore di affrontare. Se si vanno a toccare certi tasselli, cadono giù tante condanne”.

Inizia la trascrizione di parti salienti del libro:

da pag.50.“”Le indagini della Procura di Roma 2010 /2015.Andiamo così dritti all’anno 2009, quando la Procura di Roma, dopo l’analisi di nuovi elementi, decide di riaprire le indagini sulla morte dello scrittore. Potrà sembrare anacronistico sottolinearlo ma bisogna cominciare con l’affermare che la Magistratura ha celebrato un unico processo per stabilire l’identità e i reati dell’assassino o degli assassini di Pasolini, processo anticipato – come è normale – da istruttorie (che ora si chiamano «indagini preliminari»), il tutto confluito nell’ultimo grado della sentenza che nell’aprile del 1979, tramite Cassazione, ha riconosciuto come unico colpevole l’allora minorenne Giuseppe Pelosi, condannandolo a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni.
È bene sottolinearlo, perché troppo spesso scrivendone, molti riferiscono di più processi, ma così non è.
Una vicenda giudiziaria tormentata sin dall’inizio fra avocazioni e colpi di scena, questo sì. Da quando 45 anni fa il corpo massacrato di Pier Paolo Pasolini è stato rinvenuto presso l’area di un campetto da calcio dell’Idroscalo di Ostia, alle Porte di Roma, alle ore 6:30 del mattino, le ultimi indagini sono quelle che hanno avuto maggiore durata, cinque lunghi anni.
Molti degli ex abitanti o possessori delle ex baracche dell’Idroscalo, sono stati ascoltati (in alcuni casi riascoltati) e alcuni di loro hanno riferito per la prima volta del grande caos di quella notte in cui il «campetto degli Zingari», come veniva chiamata quella parte d’idroscalo, era popolato da più macchine, moto e persone.
Racconti, anche a distanza di anni, coincidenti tra loro. Infine, nuove indagini sono state effettuate insieme ad alcuni accertamenti tecnici e biologici.
Il clan dei marsigliesi e… Flavio Carboni. Nell’elenco dei sospettati delle ultime indagini, hanno fatto capolino alcuni personaggi di spicco del milieu criminale di metà anni 70.
Per lo più si tratta di ex appartenenti alla banda della Magliana e altri appartenenti al clan che hanno preceduto i cugini romani nelle attività criminali: Il clan dei Marsigliesi operativi fra il 1973 e il 1976 a Roma dopo Marsiglia e Milano.
Ma i motivi che almeno su carta sciolgono ogni dubbio in riferimento alla ventilata presenza di Nicolino Selis e Maurizio Abbatino, due dei membri della Banda romana, il giorno del rinvenimento del corpo sono due.
Tra questi ragazzi appunto, secondo l’autore che per primo l’ha proposta, ma piuttosto blandamente e comunque sotto forma di romanzo, ci sarebbe Abbatino, “il Freddo” di Romanzo Criminale per lunghi anni, dopo la sua cattura, collaboratore di giustizia. Successivamente “Il Manifesto” ha indicato Nicolino Selis come altro personaggio presente quel giorno a curiosare sulla scena del delitto.
Soltanto che entrambi, Selis e Abbatino, in quei giorni, come verificato da chi scrive, erano in carcere.
L’altra pista seguita dagli inquirenti nelle ultime indagini è quella della presenza o supporto nell’omicidio di un altro aderente al clan dei marsigliesi, tale Antonio Pinna, conosciuto allora nel cuore di Monteverde di Roma come «Nino il meccanico» e sparito dalla circolazione il 14 febbraio 1976.
Un atto di morte presunta datato 1988, mentre erano in corso indagini e processi sul clan, chiuderà per sempre ogni ricerca sulla sua presunta fuga, per poi riaprirsi brevemente durante le nuove indagini. Pinna, che come ho constatato era una fonte di Pasolini, stava collaborando al momento della scomparsa con le autorità, alle quali aveva lasciato una lunga lista di persone coinvolte nei fattacci del clan.

– da pag.119. L’accerchiamento. 2 marzo 1975: Ventura scrive a Pasolini. È questa la data di inizio di un dialogo che, poi interrotto, condurrà al massacro di Pasolini. È qui che l’editore dell’organizzazione veneta di Ordine Nuovo, Giovanni Ventura, comincia ad attirare a sé lo scrittore consegnandolo nelle mani di emissari e assassini. Il giorno precedente, sul Corriere della Sera Pasolini si inserisce nel dibattito sull’aborto che in quel periodo era in discussione e che arriverà al referendum soltanto l’8 novembre del 1975. L’anno precedente, il 12 Maggio 1974, si era tenuto invece il referendum abrogativo sul divorzio. Sarà questo l’evento che farà maggiormente comprendere ad Aldo Moro la necessità di cambiamento che la società civile di allora, soprattutto la gioventù, poneva alle istituzioni. Infatti Pasolini affermerà poi che il popolo italiano si era dimostrato più avanzato dei suoi governanti, e anche del PCI, che in realtà quel referendum lo temeva. Riprendendo la lettura della prima lettera scritta da Ventura a Pier Paolo Pasolini, inoltre, l’exeditore proseguirà, cercando di porsi come persona perseguitata alla pari di Pasolini e reclamerà il suo status non più fascista (o addirittura, scrive: «forse non lo è mai stato»). È in questa lettera che, riconoscendo a Pasolini la mancanza di «falsi pudori», Ventura si presenta come suo interlocutore dal carcere.””

– da pag.220.“”Perché il massacro di Pier Paolo Pasolini. Il contesto italiano e internazionale e il movente del massacro.
Le ragioni che hanno mosso questa indagine insieme al movente dell’omicidio del poeta, ossia perché hanno ammazzato Pier Paolo Pasolini.
Spesso si invoca il suo essere stato scomodo, la sua posizione invisa al potere per gli scritti polemici e di denuncia rivolti alla classe dirigente ed economica.
Pasolini è stato ammazzato perché sapeva e aveva ottenuto le prove di quanto denunciava in merito alle stragi.
Dal suo «Io so ma non ho le prove» al 2 novembre del 1975, trascorrerà infatti un anno, un periodo in cui succederanno molte cose. Per questo la ricerca del movente preciso, al pari della ricerca di una giustizia «giusta» invocata da Pasolini quando chiedeva che si potesse svolgere un processo penale contro la DC, nei suoi articoli inviati al Corriere, specialmente fra il marzo e l’ottobre del 1975, è a quarantacinque anni dal suo massacro divenuto un fatto oltremodo improrogabile.””

– da pag.245. “”Il dossier CIA, Vaticano, Rumor. Spesso si scrive da più parti che Pasolini compie un errore nell’attribuire ai fascisti le bombe del 1969 (il riferimento al 1968 è all’inizio di tutto, l’autunno caldo), in quanto queste sono state attribuite agli anarchici in primis. Ma il giornalista Pasolini scrive, il 16 ottobre 1974, quando la pista nera, fatta emergere dalle indagini successive alle testimonianze di Guido Lorenzon, era già di gran lunga diffusa presso l’opinione pubblica e le diverse fasi del processo Freda-Ventura erano state spostate a Catanzaro, dove alla sbarra c’erano anche gli anarchici.
Che ci fosse un’organizzazione neofascista delle bombe era ormai chiaro. Mi scrive Silvia De Laude, alla quale ho chiesto gentilmente di inviarmi alcune sue indicazioni sulla tempistica di “Petrolio” (proprio perché la filologa e critica letteraria ha operato su quel testo più di tutti): “Se si guarda alle date degli appunti programmatici inglobati nel romanzo, l’ossessione per le stragi e le trame del Potere entra di prepotenza nella strutturazione del libro piuttosto tardi. E i pensieri sugli attentati di Stato e sul necessario processo alla Democrazia Cristiana (con paralleli negli “Scritti corsari” e nelle “Lettere luterane”) sono tutti posteriori al novembre del 1974. Si può dire quindi che solo nell’ultimo dei circa quattro anni in cui Pasolini ha lavorato al libro, il tema della collusione tra ceto politico e servizi segreti deviati, diventa decisivo. Abbiamo visto già nelle pagine precedenti come l’utilizzo dei discorsi pronunciati da Cefis, e come vedremo subito anche in altri contesti, fossero materia prima per Pier Paolo Pasolini senza che ne celasse l’esistenza sia nei dibattiti sia nei suoi scritti.””

– da pag.375. “”Conclusioni. Fuori dall’idroscalo e dentro la strategia della tensione. Con questo libro si è inteso finalmente uscire, per ciò che riguarda l’omicidio di Pier Paolo Pasolini, dallo stretto perimetro d’indagine legato fisicamente all’Idroscalo di Ostia, a oltre 30 chilometri dalla Capitale, da dove tutto è partito.
Ostia, quasi una città nella città, il luogo che a Roma appartiene amministrativamente ma che si comporta come «figlia» ribelle da sempre.
Un luogo che ancora oggi fa fatica ad accettare l’autore corsaro come suo padre adottivo, lo dimostrano i blitz non così rari che di tanto in tanto si compiono nel «giardino letterario» creato appositamente per commemorarlo, il luogo in cui si è perpetrato l’omicidio; dove, a volte, si alternano danneggiamenti all’installazione a lui dedicata e vilipendi sugli scritti incisi, sorta di citazioni delle sue opere.
Certo un telefono pubblico in quegli anni, in quel luogo non era a portata di mano.
Tutti i testimoni li presenti quella notte d’altronde sono stati minacciati e i pochi che hanno riferito qualcosa agli inquirenti non sono stati verbalizzati.
Altri lo hanno fatto solo molto più tardi (nel 2011), altri ancora si ostinano a mantenere serrato il loro scrigno di piccoli e grandi segreti di cui sono a conoscenza.
«Operazione Pasolini». Fra il 14 e il 18 agosto del 1975 alcuni balordi sottraggono, su commissione, diverse bobine appartenenti ai film di alcuni registi, incluse quelle della pellicola “Salò” o le “120 giornate di Sodoma” (in cui ha lavorato come comparsa, tra gli altri, l’avanguardista Antonio Fiore, mentre sempre come comparsa a Cinecittà, lavorava anche l’altro avanguardista Bruno di Luia) presso lo stabilimento della Tiburtina. Qualcuno di quei balordi è uscito per sempre dalle indagini, qualcun altro non vi è mai entrato. Il furto «misto» viene perpetrato per confondere le acque e per far si che non venga poi individuato il vero obiettivo indirizzato a sollecitare una reazione: la sottrazione di alcune pellicole di Salò. In quel momento la lavorazione del film non è ancora conclusa, e le bobine sottratte al produttore della PEA, Alberto Grimaldi, riguardanti l’ultima scena infine scelta da Pasolini, erano per lui di grande importanza. Quelle bobine non esistevano in altra copia, e i ladri ne erano a conoscenza.
Alla fine, dopo che i rapinatori si faranno vivi con le prime richieste, sarà Sergio Citti a procurare il contatto telefonico utile affinché Pasolini possa negoziare personalmente la restituzione delle bobine.
Lo riferisce lo stesso Citti (che sapeva molte cose, tutte confidate o verbalizzate troppo tardi). La ricerca di quelle bobine, nonostante i suoi mille impegni fuori e dentro l’Italia in quei giorni, sarà costante e alla fine approderà all’appuntamento all’Idroscalo di Ostia che Giuseppe Pelosi, il mediatore, aveva già programmato fino a 2 giorni prima spostandolo di continuo, insieme ai fratelli Giuseppe e Franco Borsellino (testimonianza di Gianfranco Sotgiu a Oriana Fallaci nel 1975 riferita sull’Europeo e confermata ai Carabinieri del ROS nelle ultime indagini), organizzandosi per l’appuntamento alla Stazione Termini concordato con Pasolini.
Ecco dunque l’espediente, la trappola, che condurrà lo scrittore in un luogo lontano dagli abituali riferimenti romani per lui più semplicemente raggiungibili, soprattutto la sera: luogo poco consono oltre che buio e pericoloso quello. All’idroscalo lo scrittore era stato più volte e per i set dei suoi film ma durante il giorno.””

Sin qui il libro.

Ora, integrazioni, valutazioni e ricordi.
Di Pasolini si scrive ancora, ovviamente. Nei giorni scorsi, su “Il Corriere della Sera”, letto l’articolo “Le carte di Pasolini rimaste un mistero”di Paolo Di Stefano del 30 novembre 2020. “Era il 2 marzo 2010 (dunque dieci anni fa) quando Marcello Dell’Utri annunciò in una conferenza stampa l’intenzione di esporre degli inediti di Pasolini alla imminente Mostra del Libro antico di Milano. Si trattava, precisò l’ex Senatore, di 78 veline intitolate «Lampi su Eni», ovvero del «fascicolo trafugato» di “Petrolio”, l’ultimo romanzo, incompiuto, di Pasolini. Già da qualche anno si diceva (il primo a scriverne fu il poeta Gianni D’Elia) che dal manoscritto di Petrolio era stato sottratto un capitolo qualche giorno dopo l’assassinio dello scrittore. Quel capitolo («Appunto 21»), cui l’autore stesso accenna nel libro come a una sezione già realizzata (ma nel manoscritto ne rimane solo il titolo), avrebbe raccontato la scalata di Eugenio Cefis all’Eni e alcuni nodi biografici. Del resto, Pasolini, in Petrolio, indica in Cefis (Presidente dell’ENI dal 1967 al 1971, succeduto a Enrico Mattei, e Presidente della Montedison dal 1971 al 1977), chiamato Troya, il responsabile della «soppressione del suo predecessore», ovvero di Mattei, morto in un incidente aereo nell’ottobre 1962 (nel ripercorrere la scia di sangue legata al petrolio, la richiesta di archiviazione del caso Mattei, stesa dal giudice Vincenzo Calia, fa cenno al romanzo di Pasolini). Insomma, l’annuncio non ebbe seguito poiché, disse Dell’Utri, il chiasso aveva «spaventato» il detentore dell’inedito.””
Quindi, dopo la lettura del libro, si può affermare che figura chiave di questa tragica vicenda è Antonio Pinna . Antonio Pinna è per Pasolini un grande consigliere. Si afferma che Antonio Pinna è morto. Prelevato al suo domicilio il giorno dopo la morte di Pasolini, da due signori descritti come «distinti ed eleganti», Pinna non farà più ritorno. Fino a tre anni dopo allorché verrà fermato a Roma dai Vigili Urbani e sanzionato per patente scaduta. Scompare nuovamente, ma ecco che, vent’anni fa, viene riconosciuto a Tenerife da una persona nel frattempo deceduta. Possibile che un testimone oculare venga lasciato libero di girare per il mondo senza che nessuno lo costringa a testimoniare contro gli assassini dello scrittore? Si, una vicenda tutta italiana.

Ora concludo, con ricordi personali. Ho conosciuto Pasolini quale grande scrittore quando, da studente di Liceo Classico, si leggeva e si leggeva di tutto. Poi, quando nel 1968 pubblicò la poesia in cui criticava fortemente i giovani studenti figli di borghesi per aver aggredito le Forze dell’Ordine negli incidenti davanti alla Facoltà di Architettura di Valle Giulia, a Roma, lo ammirai. Si, i Poliziotti, scrisse, figli di operai e contadini che vivevano nelle borgate, erano poi i figli di quella gente che i sessantottini tanto avevano a cuore dalla quale però erano notoriamente tanto lontani. Bene, quel giorno a Valle Giulia ero presente anche io, Sottotenente di Complemento 21enne, con reparti dell’VIII Battaglione Mobile dei CC. Era il 1º marzo 1968, uno scontro violento di piazza tra manifestanti universitari e Polizia, nell’ambito delle manifestazioni legate al movimento sessantottino, in cui gli studenti tentarono di riconquistare la Facoltà di Architettura dell’Università di Roma, attaccando la Polizia, che la presidiava dopo averla sgomberata da un’occupazione. Fu l’inizio dell’ autunno caldo, nel corso del quale fui presente a numerosi incidenti nel polo universitario, tra i quali lo sgombero dell’Università di Roma in coincidenza della visita del Presidente USA Nixon. Tornando ad Ostia, splendida località ben conosciuta per il lungomare, gli stabilimenti balneari, i locali, i ristoranti, la gente; luogo di luce, mare, svago e bellezza. Piazza Gasparri e dintorni, invece, ambito buio di malavita e mistero. Dal punto di vista operativo, leggendo di Pasolini e della sua tragica morte, si riaccende il ricordo personale di quel lontano 1975, quando fui inviato dal Colonnello Siracusano, indimenticato Comandante della Legione di Roma, a svolgere le funzioni di comandante in S.V. (sede vacante) della Compagnia di Ostia, nei mesi di gennaio e febbraio di quel tragico 1975, per il trasferimento del titolare, il Capitano in promozione Claudio Blasi, che ebbi molti anni dopo l’onore di avere quale autorevole Comandante di Divisione, durante la mia permanenza al Comando Provinciale di Taranto. Aggiungo, scusandomi con chi legge, che nel periodo della mia quinquennale permanenza nella impegnativa Compagnia di Roma Trastevere, negli anni 1971/76, quale responsabile del Nucleo Operativo, da Sottotenente a Capitano, fui prescelto dai superiori per comandare interinalmente, ed anche in SV, in assenza dei titolari, varie Compagnie della Capitale (Roma Trastevere; Roma Parioli; Roma Piazza Dante; Roma Casilina; Roma Montesacro; la ricordata Roma Ostia; il Reparto Servizi Sicurezza Enti Vari. Durante la mia permanenza ad Ostia, meritai una lettera di apprezzamento dal Comandante del Gruppo Roma II, il Ten.Col. Giorgio Burlando, per l’attivismo in Polizia Giudiziaria, in particolare nella zona di Piazza Gasparri e ad Acilia. Ad Ostia, tra le persone incontrate, anche di malavita del polo trasteverino, rividi il grande attore Maurizio Arena, conosciuto a Trastevere per motivi di servizio, che abitava in una villa nei pressi di Casalpalocco. Morì nel 1979.
Per chi volesse approfondire, avendone interesse e pazienza, il tema Pasolini, può visionare altro articolo su questa testata, di cui è brillante Direttore Salvatore Veltri ( https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/ancora-sul-caso-del-grande-pasolini-morto-di-verita-38706/).
Ho finito.

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