Poeta al Comando
Di Alessandro Barbero
Roma, 20 maggio 2022 – “Poeta al Comando”, un romanzo in cui recentemente il grande e ben noto storico Alessandro Barbero ha descritto un D’Annunzio nei suoi piccoli atti, non ultimi quelli legati alla seduzione che mostrano l’umanità più fragile del sommo Gabriele.
Tutto questo nell’impresa di Gabriele D’Annunzio a Fiume.
Il 12 settembre 1919 Gabriele D’Annunzio, alla testa di un gruppo di ribelli, Granatieri, Bersaglieri, Cavalleggeri, Arditi del Regio Esercito italiano, occupa la città di Fiume.
Dura poco più di un anno il governo retto dal Poeta, costretto alla resa nel Natale del 1920 dal Trattato di Rapallo che Giolitti firma con il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Alessandro Barbero descrive, in questo romanzo, l’incredibile impresa del Poeta Soldato. Il «Comandante» è ritratto negli ultimi giorni della Reggenza del Carnaro attraverso gli occhi di Tom Antongini, amico e segretario di D’Annunzio a Fiume.
Tom nel 1944 da Salò rievoca gli eventi vissuti in prima persona, sempre a fianco del Vate. Ed è una narrazione ironica, comprensiva, attraversata ora da ammirazione ora dal dubbio, che tratteggia un Gabriele stanco e malinconico per la vecchiaia che avanza, eppure sempre audace, donnaiolo, sperperatore, talvolta tanto preso da se stesso da apparire quasi inconsapevole delle concrete conseguenze della sua azione.
Un romanzo appassionante, pubblicato per la prima volta nel 2003, in cui Barbero dipinge un D’Annunzio nei suoi piccoli atti, non ultimi quelli legati alla seduzione che mostrano l’umanità più fragile di Gabriele.
Fatta questa premessa al libro dello storico Barbero, non posso non ricordare quanto scritto nell’articolo su questa testata di cui è Direttore Salvatore Veltri, per la presentazione dell’ottimo recente libro che mette invece in luce quello che il Vate fece in modo mirabile e precorritore di tempi politici moderni e avanzati con la Carta del Carnaro.
Un libro interessante “LA SOLA RAGIONE DI VIVERE”, opera di F.Carlesi, E.Greco, Marino Micich, M. Runco, curato da Emanuele Merlino. Si racconta che l’impresa di Fiume sconvolgeva il mondo.
La sua Costituzione: quella ‘Carta del Carnaro’ da più parti definita “la più bella costituzione del mondo”, scritta dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris e resa poesia da Gabriele D’Annunzio.
“Uno degli aspetti principali dello Statuto risiede nel suo anelito all’innovazione e alla modernizzazione della struttura giuridica della società.
Molti i punti d’interesse della nuova Costituzione: l’introduzione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge e la loro sovranità senza divario di sesso, di stirpe, di lingua, di classe, di religione; il diritto all’istruzione e il particolare rilievo dato al ruolo dell’arte e della cultura; l’abbandono della concezione censuale della società e del voto alle donne; il lavoro inteso come valore, non solo in termini economici e materiali ma anche in termini spirituali e culturali; l’affermazione del diritto al lavoro in cui lo Stato si impegna anche a garantire un salario dignitoso minimo garantito” (https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/la-sola-ragione-di-vivere-limpresa-di-fiume-e-la-carta-del-carnaro-50044/)
Iniziamo a leggere parti del libro di Barbero.
– da pag.171. “”Ariel armato. (il Generale) Caviglia attaccò alla Vigilia di Natale. “Sono segnalati movimenti dappertutto. In Val Scurigna stanno già sparando”. Con un sospiro uscì dalla sua tana. In bagno, mentre si faceva la barba e si versava addosso il solito mezzo litro d’ acqua di Colonia, lo sentì canticchiare. Poi si interruppe e mi chiamò attraverso la porta. “Ti ricordi quel maggiore che è venuto l’altro giorno? E mi assicurava la gratitudine della patria?” “Sì, me lo ricordo”. Confermai. “Beh, guarda un po’ i giornali, eccola lì la gratitudine della patria.” I quotidiani, che quel mattino si era fatto portare da Italo, erano ammucchiati sul pavimento ai piedi del letto. Ne raccolsi uno, poi un altro. Il tono degli articoli era uniformemente di elogio del governo, che finalmente sarà deciso a sanare – come si espresse uno di quei giornalisti – “La piaga purulenta” di Fiume. “L’ hai veduta la gratitudine della patria?” proseguì Gabriele sortendo dal bagno, impeccabilmente rasato e profumato, e con naso bianco di cipria. “L’ ho veduta”, dissi alzando le spalle. “Quelli mi vorrebbero morto. Bella razza, gli Italiani. O forse è meglio dire Italiani. Sì, mi vorrebbero defunto, per levarsi una buona volta l’ingombro”. Fra le pietraie della Val Scurigna, la mitragliatrice protendeva il suo muso tozzo, protetto da una lastra d’ acciaio. Appoggiato a una gran pietra bianca, il tenente scrutava col binocolo; ma quando il Comandante sbucò dalla svolta del sentiero e si fermò alle sue spalle, s’affrettò a lasciarlo ricadere, e s’infilò un paio di occhiali prima di fare il saluto. Con quella faccia da professore e la divisa goffa, aveva una fila di nastrini e la medaglia di bronzo appuntata sul petto. “Riposo. Si è visto nessun movimento, qui?” Si informò Gabriele. Il Tenente arrivò emozionato, vuoi per la presenza del Comandante, vuoi per le notizie che aveva da riferire. “Signorsì, Comandante. Un’ ora fa dei ciclisti sono spuntati sul sentiero, lassù”. E indicava chissà dove, fra le pietraie. “Ho fatto sparare una raffica di avvertimento e sono spariti subito”… A un tratto, poco più avanti, echeggiò la raffica secca di una mitragliatrice. Ci fermammo tutti e due. “Ho sentito sì”. La mitragliatrice martellò ancora: track- track- track… “Andiamo?” Insistè Gabriele, con l’ occhio che brillava. “E aspetta un momento!”, cercai di frenarlo, ma invano.“Andiamo, ti dico!”; e si staccò, impaziente, dalla mia mano. Appena oltre, dietro il muro mezzo demolito di un casale abbandonato, una mitragliatrice spuntava da un mucchio rossastro di schegge di mattone. In due salti fummo anche noi dietro il muro. C’ erano due uomini, soli. “Chi comanda qui?”. “Il signor Capitano. Ma è tornato indietro.” Rispose quello dei due che stava alla mitragliatrice. “A chi hai tirato?”, chiese Gabriele. “Si muovono laggiù”, accennò l’uomo. Guardammo, facendoci riparo con la mano contro la luce biancastra del cielo invernale; ma non si vedeva nulla. Poi venne da quel nulla una fucilata, e un’ altra. Schizzò via un pezzo di muro. La mitragliatrice tirò una raffica, a casaccio o almeno così mi parve. Io mi ero piegato sulle ginocchia, d’istinto. Ma Gabriele era rimasto in piedi. “Che fai!?” gli dissi, tirandolo per la falda. “Vuoi morire?”; mi guardò con l’ unico occhio, traboccante d’ angoscia. “Perché no? Sì, ho questa volontà. È tempo di morire: tempus moriendi”…””
– da pag.183. “”A Palazzo, Gabriele si chiuse a chiave nel suo studio, e girò freneticamente la manovella del telefono. Dopo due o tre tentativi cominciò a pensare che il Generale Caviglia avesse fatto tagliare i fili. Ma non era così. Quando finalmente ebbe la linea, chiese il numero della villa Cosulich. Chissà, pensò, magari mi risponderà lei, altrimenti la domestica, e con un pretesto potrò chiamarla all’apparecchio. “Pronti!” Gabriele bestemmiò fra i denti: era la voce barbuta del Senatore. “Pronti!” Chi è all’apparecchio?” tempestava. Gabriele avrebbe anche potuto riattaccare. Ma non sapeva come funzionavano i telefoni, e se non se n’era mai fidato… “Si! Qui è il Comandante d’ Annunzio!” esalò finalmente, giàcchè l’ altro si inquietava. All’ altro capo della cornetta cadde il silenzio. “Sì!”, esclamò il Senatore, dopo un po’. “La ascolto”. Bisognerà dirgli qualcosa, intuì Gabriele. Che imbroglio! “La chiamo per sentire il suo parere, mio caro Senatore” improvvisò. “In un’ora come questa la reggenza ha bisogno che i migliori figli di Fiume le siano vicini: chi con l’ arme, e chi col consiglio”. Modulò, soave. All’altro capo ci fu ancora un istante di silenzio. “Ma quale consiglio vuole che le dia!” tuonò finalmente il Cosulich. “Fatela finita con questa burletta! Volete aspettare che la città sia cannoneggiata!”…“Ma come, non siamo a questo punto?” “Ci siamo eccome!”. Si spazientì l’ altro. “Fuori città si spara! Non crederà mica che la sua accozzaglia… che i suoi legionari possano tener testa ai regolari! Mi ascolti, Comandante, qui l’unica cosa è farla finita, e farla finita subito!” Gabriele, a questo punto, s’irritò per davvero. “Non si illuda, Senatore, c’è ancora gente che ha voglia di vendere cara la pelle, qui a Fiume; e anche in Italia ne abbiamo di amici che vedono al di là della pancia e della vita comoda! Mussolini…” “Ma lasci stare Mussolini!”, lo interruppe villanamente il Senatore. “Un altro bel buffone, anche quello!” Ha ragione, pensò Gabriele con inattesa lucidità. Quello lì non muoverà un dito, anzi aspetta che ci facciano fuori: per farsi sotto lui, carogna. “Farla finita, le dico, e subito!” continuava a tempestare la cornetta. “Ho capito, caro Senatore, la ringrazio” disse seccamente Gabriele. E riattaccò.””
– da pag. 187. “”Natali di sangue. Noi non sapevamo che in quello stesso momento, a bordo della corazzata italiana Andrea Doria, al largo del Carnaro proprio in faccia a Fiume, le bocche dei cannoni stavano già puntando verso di noi, gli ufficiali in plancia esaminavano a bell’agio coi binocoli la facciata del Palazzo in difesa sul mare, altri ufficiali nella centrale di tiro completavano, chissà con quale animo, i loro calcoli, e un Ammiraglio pensoso soltanto degli ordini ricevuti da Roma, con le orecchie rintronanti di parole alate quali “avanzamento” e “carriera”, si preparava a dare l’ordine fatale. Quasi che Giolitti, nella sua tana romana, sapesse che noi, nonostante tutto, quelle mitragliatrici eravamo pronti a piazzarle davvero. Ma non vi fu il tempo. Il fischio sinistro del 305 in arrivo durò appena quel che basta perché tutti noi, che avevamo fatto la guerra, ci si guardasse negli occhi. Poi non vi fu altro che il rimbombo, e la polvere dei calcinacci. Ci rialzammo rintronati: il Comandante sanguinava. In un istante fummo tutti intorno a lui, che badava a ripetere: “Non è niente, non è niente”. In verità non aveva che una sbucciatura sul cranio lucido, che ora era coperto di polvere di gesso. Ma il sangue usciva copioso. Gabriele mi rivolse un sorriso stentato.
“Hai visto che hanno trovato il modo di farla finita? Te l’ho detto: vogliono ammazzarmi, e basta.” Bisognava uscire di lì, scavalcando i detriti. La cannonata aveva sbranato il balcone, sventrato il soggiorno e l’ anticamera. E proprio lì, in mezzo alla rovina, ci attendeva il cadavere disarticolato di un soldato. Era il Granatiere di guardia, Bencivenga, che Gabriele aveva comandato personalmente per quel servizio appena pochi giorni prima, colpito dalla sua altissima statura. La sorte del poveraccio, debbo dirlo, fece cattiva impressione.””
– da pag. 199.“”A ferro freddo. Quando bussai alla porta ed entrai, lo trovai seduto sulla branda, mezzo vestito. “Il Podestà ti fa sapere che oggi alle tre una delegazione cittadina verrà a Palazzo a conferire con te. Smaniano per l’ armistizio.” Gabriele mi guardò con una smorfia. “E i nostri?” “Qua e là si spara ancora. Teniamo il macello e la Casa degli emigranti e direi che i regolari hanno l’ ordine di non andare fino in fondo. Ma hanno avvertito che se non ci arrendiamo entro stasera, il Doria tirerà sulla città”. La delegazione si presentò in abito nero e cappello a cilindro. Gabriele aveva indossato l’alta uniforme di Tenente Colonnello dei Lancieri di Novara, le mostrine e i guanti bianchi. E il vetro all’occhio. L’ approccio fu cauto. La delegazione era irta di barbe ottocentesche e pareva uscita da un dagherrotipo. Si capiva benissimo che a quelle barbe, nonostante tante parole menzognere, i nostri Legionari col ciuffo e il fez non erano piaciuti mai e ora che l’utile non gli imponeva più la pazienza, non stavano più nella pelle di potersene liberare. “Difendere la città con le armi ormai fuori questione, i regolari premono dappertutto e già stasera potrebbero essere qui. Ma il peggio è che si minaccia il bombardamento della città. Di fronte a questa prospettiva, lei capisce, Comandante, che è dovere di tutti noi risparmiare ulteriori sofferenze ai cittadini.” Gabriele avrebbe voluto rispondere, ma per la prima volta, con non poco stupore suo e di noi ufficiali, non lo lasciarono parlare. Il Podestà non aveva finito e dopo di lui tutti i membri della delegazione vollero rincarare la dose. Finalmente potè prendere la parola. Del resto, avevano tutti quanti ripetuto la stessa cosa: non uno si era discostato dall’opinione generale. “Signori” esordì Gabriele, “Difendere la città con le armi, voi dite, è fuori questione. E perché mai? Forse perché per ognuno dei nostri ci sono là fuori, ci sono 10, che dico, 100 regolari? Ma i nostri sono tutti arditi di cuoio temprato e fegato secco, forgiati nelle ghiaie del Piave, e quelli là sono reclute pulite, appena strappate al solco e all’aratro. Se non fosse per la ripugnanza nel versare sangue fraterno, i loro corpi sarebbero mucchio alla barriera di Cantrida”. Questa spacconata lasciò freddi i delegati, ma Gabriele continuò senza darsene per inteso. “Difendere la città con le armi è fuori questione, voi dite: perché siamo pochi, e qualcuno, fulminato dalla speranza della pensione o dal profumo delle gamelle ministeriali, ha già mollato. Ebbene, io vi dico che fossimo anche 10 soltanto, quei 10 che sono qui con me ora” e mostrò con un gesto il gruppetto degli ufficiali assiepato, cupo, dietro di lui “noi saremo sempre i più forti. Noi ci ridiamo del cannone di Caviglia. E quelli che se ne vanno non li salutiamo.”…
“Lor signori, in quanto rappresentanti del Libero Comune, avranno la bontà di eleggere dei plenipotenziari, che trattino col generale Caviglia la consegna della città e l’ ingresso delle truppe regie. Il Comandante di Fiume, da oggi in poi, rinunzia alla sua autorità.” I delegati ora rumoreggiavano, ma Gabriele non se ne curò. Come non si curò degli ufficiali che erano rimasti impietriti alle sue spalle.
“Io rassegno nelle mani del popolo di Fiume”, ribadì con voce metallica e ben scandita, “i poteri che mi furono conferiti. E attendo che il popolo di Fiume mi chieda di uscire con le mie Legioni dalla città, dove non venni se non per la sua salute”. Scendendo dal podio, mi passò accanto.
“Che fatica!” mormorò. “Per fortuna è finita.””
Sin qui il libro.
Ora integrazioni, valutazioni e conclusione.
D’Annunzio, inutile e davvero irrispettoso per la storia negarlo, piaccia o no, come abbiamo più volte scritto, influenzò enormemente la cultura italiana e non solo; Egli fu certamente lo scrittore ed il Poeta che ebbe fra i due secoli la più vasta risonanza in Italia ed anche in Europa dominando sulla letteratura e sul costume del tempo. Sono assai rilevanti le tracce lasciate da Lui nella letteratura, in particolare nella poesia italiana del Novecento, come testimonia Eugenio Montale, ricordando che “tutti sono passati attraverso il d’Annunzio, foss’anche solo per negarlo!”.
La durevole influenza di D’Annunzio sulla gente fu dovuta alle sue doti di scrittore e alla sua capacità di seguire l’evoluzione del tempo, prima in un pubblico ristretto poi, sempre di più, in larghi strati di un ceto medio allora molto ampio e presente. D’Annunzio, tra l’altro, ha anche il merito di aver avvicinato una parte del mondo operaio propugnando una sorta di alleanza fra capitale e aristocrazia operaia, rivolgendosi alla “folla” anche se con modi estetizzanti. Nel 1963, non tutti ricordano, nel centenario della nascita, tutta la stampa nazionale e internazionale si occupò delle manifestazioni organizzate a Pescara al “Teatro Monumento Gabriele D’Annunzio”, inaugurato in brevissimo tempo per l’occasione. Eccetto Pescara, le celebrazioni passarono sottotono nel resto d’Italia perché la cultura dominante gestita dalla sinistra che collegava ingiustamente il Vate al Fascismo, non tollerava riti inopportuni; e tutti, “more italico”, abbassarono la testa, salvo rare eccezioni. Ricordiamo comunque che solo dopo il 1963, appunto nel centenario della sua nascita, si è cominciato a valutare d’Annunzio in modo differente dalle sue opinioni politiche, facendo riferimento alla sua produzione letteraria.
Un ruolo importante ha svolto, in questa direzione, la rivista “QUADERNI DANNUNZIANI” della “Fondazione Il Vittoriale degli Italiani”, che ha riportato di volta in volta sia gli atti di importanti convegni che si sono tenuti al “Vittoriale”, sia studi e ricerche di autori vari. Sappiamo tutti da reminiscenze scolastiche, che il Vate fu anche tra i primi poeti del colonialismo ed il cantore della spedizione libica (1911) per cui, per la sua capacità retorica, ha certamente favorito l’affermarsi di un nazionalismo bellicoso; Egli, ancora, realmente esercitò un’influenza grandissima sulle vicende che condussero all’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale, tanto che dichiarata la guerra, partì volontario per il fronte, prima nell’Esercito e poi nella Marina, divenendo pioniere dell’Aviazione e sempre si comportò da valoroso per cui meritò la Medaglia d’Oro al Valore Militare per le importanti azioni di cui fu protagonista.
Bene, proprio per quanto sopra asserito va detto che questo grandissimo Italiano, forgiato nel più nobile dei metalli della nostra razza latina, merita di essere commemorato in modo adeguato, con il coinvolgimento anche delle scuole. Forse, ci chiediamo, non c’è più spazio per l’alta cultura in Italia, tranne per taluni sepolcri imbiancati gestiti dalla cultura incolta nostrana faziosa; oppure non abbiamo tempo perché seguiamo adoranti le gesta nefaste di personaggi oscuri, ahimè non pochi, che disonorano la nostra stirpe che, ricordiamolo, discende dal Diritto Romano e dalla Filosofia greca, da periodi fulgidi quali l’Umanesimo e il Rinascimento sino al Romanticismo, giungendo sino alle effervescenze delle Avanguardie culturali dei primi del ‘900 e al neoidealismo di Croce e Gentile. L’auspicio, quindi, è quello di un nuovo umanesimo che impegni soprattutto i Giovani e che ci riporti ai valori di quella grande Italia di cui Gabriele “Ariel” d’Annunzio è stato interprete, Maestro e Guida! Sì, proprio Lui, quel grande Italiano, vero Uomo da leggenda, che dominò spiritualmente per oltre mezzo secolo l’Italia e con l’Italia la vecchia Europa.