Il portamento Suo, poi, era regale, di grande equilibrio interiore. Ora, quella Vita è stata spezzata da un gesto incomprensibile, forse scaturito dal peso enorme di una situazione da Lei forse erroneamente ritenuta un’ ingiustizia patita, sofferta, amaramente vissuta. E, così, è giocoforza tornare ai tempi lontani, quando i Comandanti (quelli con la “C” maiuscola), nelle Scuole o nei Battaglioni, dicevano, con bonaria severità: “”Il Subalterno deve… “morire”… al Reparto””, volendo con questo significare che Sottotenenti e Tenenti dovevano lavorare e lavorare; i primi ad arrivare la mattina per la sveglia, gli ultimi ad andare via, di sera tardi, dopo il silenzio, se “di Giornata”; ovvero, nel quotidiano, in Caserma dall’inizio delle operazioni sino a fine rapporto istruttori, alla libera uscita, alla vigilanza a Mensa e anche oltre. Ma con tale frase, quei Comandanti, certamente mai avrebbero pensato che in Caserma si potesse morire davvero, e in quel modo così tragico, poi, senza che nessuno si accorgesse di un così grande turbamento, di una così immane vicenda umana!
Tutto ciò deve far riflettere molto sull’odierno modo di vivere e di comandare, come sul minore spirito di appartenenza, di solidarietà che, un tempo, antipatie fisiologiche a parte, faceva considerare, tra Colleghi, tutti Amici.
E così era davvero!
Addio, bel Tenente, riposa in Pace; quella Pace che questa Vita Ti ha negato!