Roma, 11 maggio 2022 – Raffaella Fanelli intervista Maurizio Abbatino. Perché ‘Il Freddo’ non è solo un ex capo o un ex pentito, è l’ultimo boss vivente di un’associazione mafiosa tra le più importanti non solo a Roma.
Perché la banda della Magliana è stata parte di un’organizzazione ben più vasta, con inquietanti protezioni in Italia e all’estero con i Servizi segreti deviati, la mafia e la massoneria.
Nel suo libro intervista, l’ex boss della Magliana lancia un messaggio all’opinione pubblica: a Roma non si vuole che esista una mafia locale. La Corte d’Appello la pensa altrimenti e applica a Carminati il 416/bis. Ma la partita è ancora aperta e la vita di Abbatino in gioco…
Della verità di Maurizio Abbatino, noto col nome d’arte storico di Crispino e poi con quello cinematografico-televisivo Er Freddo, si sapeva già molto. Il suo racconto è coerentissimo, tanto che nel libro non si troverà nulla che Abbatino non abbia già dichiarato alla Magistratura.
Potrebbe essere, ancora, più di una suggestiva coincidenza oppure una mossa difensiva il fatto che Massimo Carminati («Io lo ricordavo di poche parole, ora è diventato un coatto», ha commentato Crispino) durante il primo grado di giudizio si sia scatenato in una ridda di accuse nei confronti di Crispino e abbia parlato di complotto ordito dall’ex complice ai suoi danni.
Ora che la Corte d’Appello ha stabilito che, per quanto riguarda almeno Mafia Capitale, la mafia c’è, la situazione inizia a cambiare.
Ciò vuol dire che il libro non sia privo d’interesse. Il suo valore di documento è eccezionale: rivivere attraverso le parole di un suo protagonista una delle vicende più pesanti dei tempi attuali è notevole. Ed è importante come Abbatino ridescriva il contesto, enormemente corrotto, in cui visse la Banda nei misteri d’Italia, dal Caso Moro per finire con la sparizione di Emanuela Orlandi attraverso il delitto Pecorelli.
I ricordi del Freddo riportano alla luce quelli legati ai personaggi chiave della Banda: il capo dei testaccini Enrico De Pedis, sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare a dispetto di una serie impressionante di accuse mai sanzionate in sentenze definitive; il fondatore Francesco Giuseppucci, detto Er Negro o Il Fornaretto, l’inquietante Danilo Abbruciati. E poi i neofascisti, di cui Carminati è il principale superstite.
Alla testimonianza di Abbatino, la prima rivolta con tanta efficacia al grande pubblico, si accompagnano le interessanti ricostruzioni storiche di Raffaella Fanelli, che arricchisce il racconto dell’ex boss con le sue citazioni dei risvolti più segreti e inquietanti della nostra storia contemporanea.
Iniziamo a leggere parti del libro.
– da pag.17. “”Lo chiamavano “Crispino” per i suoi capelli riccioluti, poi è diventato “il Freddo”, ma oggi Maurizio Abbatino ha ripreso il suo nome, quello che aveva quando con Franco Giuseppucci, detto “il Negro”, ha formato e guidato la banda della Magliana. Lo ha ripreso perché estromesso dal programma di protezione. Da una serie di garanzie – incluso il nome di copertura – ottenute nel lontano 1992, quando decise di collaborare con la giustizia, e con le sue dichiarazioni mandò in carcere sodali ed ex amici. Mandanti ed esecutori di omicidi eccellenti. La collaborazione di Abbatino ha attraversato tutti gli anni ‘90 e il decennio successivo per interrompersi nel 2010. Le sue rivelazioni hanno avuto un peso in processi importanti, da quello per l’ omicidio del giornalista Mino Pecorelli a quello per la morte di Roberto Calvi. È stato un criminale sanguinario, Maurizio Abbatino, che ha collaborato e fatto arrestare altri criminali sanguinari. Molti di loro sono tornati liberi. Lui no. Sta scontando una condanna a trent’anni ed è ai domiciliari per motivi di salute. Nell’ inchiesta che ha travolto Roma, non è mai stato ascoltato. Eppure, lui Carminati lo conosce bene. Lo ha tirato in ballo per l’ omicidio del giornalista Mino Pecorelli, (che coinvolse anche Giulio Andreotti) e per la strage di Bologna, feroci delitti rimasti in parte misteri d’Italia. Per entrambi Carminati è stato assolto. I giudici dell’epoca – tra cui Otello Lupacchini, autore della postfazione di questo libro – ritennero Abbatino un testimone attendibile. “Il Freddo” della banda della Magliana racconta la mafia a Roma nonostante sentenze passate e recenti abbiano fatto a gara per negarla. D’altronde, a voler dimostrare e provare questa ingombrante presenza, s’inciamperebbe in amministratori pubblici collusi o stranamente distratti. In nomi importanti che hanno fatto la storia di questo paese. Certo, occorre capire di che storia si tratta. Così scriveva (il grande) Pierpaolo Pasolini, il 28 settembre del 1975, sul Corriere della Sera (fu ucciso quell’anno dopo poco più di un mese ad Ostia): “Gli italiani vogliono consapevolmente sapere fino a che punto la mafia abbia partecipato alle decisioni del governo di Roma o collaborato con esso. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia la realtà dei cosiddetti golpe fascisti. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere da quali menti e in quale sede sia stato varato il progetto della strategia della tensione (prima anticomunista e poi antifascista, indifferentemente). Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi ha creato il caso Valpreda. Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi sono gli esecutori materiali e i mandanti, connazionali, delle stragi di Milano, di Brescia e di Bologna… Finché non si sapranno tutte queste cose insieme – e la logica che le connette e le lega in un tutto unico non sarà lasciata alla sola fantasia dei moralisti – la coscienza politica degli italiani non potrà produrre nuova coscienza. Cioè l’Italia non potrà essere governata.””
– da pag.26. “”Non sarà la malattia ad uccidermi.
Nel 1993, con le sue dichiarazioni, mandò in carcere diversi affiliati alla banda, anche lo stesso Carminati. Molti di loro sono tornati in libertà. Teme possano vendicarsi? “Non è solo per questo che mi ritengo un bersaglio. Ma per tutte le cose che so e che non ho raccontato perché impossibili da dimostrare”. La banda della Magliana esiste ancora? “Sopravvive attraverso persone che della banda non hanno fatto parte, ma che con noi sono entrati in contatto e che solo per questo si sono fatti un nome. Per molti la banda della Magliana è stata un’ ottima garanzia”. È stata definita un’agenzia del crimine…””
– da pag.49. “”La versione “del Freddo”. Mafia capitale. Giovedì 4 dicembre 2014. Su una strada di campagna a Sacrofano, in provincia di Roma, di fronte agli uomini del Ros che lo hanno appena fermato, Massimo Carminati si arrende senza opporre resistenza. È spaventato, confuso. Non è armato. Neanche il tempo di scendere dall’auto che l’ ex Nar 56enne ha già le manette che gli serrano i polsi. Il suo arresto è il primo capitolo dell’inchiesta Mafia capitale e forse l’ultimo dell’epopea criminale di un uomo che per oltre trent’anni è entrato e uscito dalle storie più torbide del nostro paese. Ad accusarlo di stragi, omicidi, colpi miliardari e traffici di droga, è stato l’ ex amico Maurizio Abbatino, testimone chiave di processi eccellenti… Carminati in realtà ha poco da gioire: ha preso vent’anni di carcere, 19 ne ha presi Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative. Ma Abbatino non ha dubbi: “Usciranno prima. In appello la pena sarà ridotta, se non dimezzata. Fra 5 anni Massimo tornerà a casa…”” Salvatore Buzzi è il re del mondo di mezzo. È l’ex estremista rosso condannato per l’ omicidio di un socio in affari che una volta uscito, nel 1991, si è messo in proprio, ha fondato una prima cooperativa e poi è cresciuto, inarrestabile, fino a dichiarare un fatturato annuale di oltre 50 milioni di euro. Tanto da poter sedere al tavolo di gente importante, anche alla destra di chi diventerà Ministro. Tanto da essere sempre presente, perché invitato, alle feste elettorali e alle cene per il fundraising del PD, di Forza Italia e di chiunque poteva tornare utile. “Pago tutti, partiti politici, giornali…”, dice Salvatore Buzzi in un’ intercettazione riportata nell’ordinanza. E infatti tutti cercavano d’invitare l’amico e socio di Carminati.””
– da pag.175. “”Il delitto Pecorelli. Carmine Pecorelli era un avvocato specializzato in diritto commerciale, con la passione per il suo lavoro e per il giornalismo. Una mente e un talento che dopo il suo omicidio saranno gli stessi colleghi, alcuni almeno, a mettere in ombra, pubblicando notizie infondate sui suoi presunti ricatti e cadendo, si spera inconsapevolmente, nel collaudato metodo mafioso che vuole l’ eroe di turno infangato per distruggerne l’attendibilità. Pecorelli fu un giornalista del fiuto infallibile, per questo temuto ed odiato da molti. Grazie ai suoi rapporti con personaggi equivoci, e con fonti che andò a cercare fra i criminali della Magliana, venne a conoscenza di importanti segreti di Stato. Nel 1968 creò “OP – Osservatore Politico”, un’agenzia di stampa divenuta 10 anni dopo un settimanale. Un altro scoop riguardante la presenza di una loggia massonica in Vaticano, fu pubblicata all’indomani dell’elezione di Albino Luciani al soglio pontificio. Pecorelli si occupò di Aldo Moro fin dalle prime minacce americane, arrivate quando ancora Ministro degli Esteri, Moro fu attaccato per la sua politica di apertura verso i comunisti. Poco prima della strage di via Fani, il giornalista scrisse di tutto. Profetico, semplicemente ben informato, su “OP” apparve il titolo: E’ proprio il solo Moro il ministro che deve morire alle 13? E ancora: Moro- bondo, alludendo ovviamente al destino del leader democristiano… Un altro titolo precedente all’agguato di via Fani fu: Oggi, assassinato con Moro l’ ultimo centrosinistra. Pecorelli dava informazioni intellegibili soltanto agli addetti ai lavori, se non addirittura ai soli diretti interessati. Erano informazioni spesso allusive e quasi in codice. Per questo suo modo ambiguo di presentare le notizie, furono ipotizzate a suo carico forme di ricatto e di condizionamento politico, tuttavia, come fu poi verificato in sede processuale, il giornalista non aveva mai ricattato nessuno, e la conferma arriva da un’ analisi della sua situazione patrimoniale finanziaria al momento della morte. Una morte legata a doppio filo al massacro di via Fani e l’ omicidio Moro. Perché Pecorelli sapeva. Anticipava… Pecorelli disponeva di informazioni più che attendibili, come emergerà 12 anni più tardi, l’8 ottobre 1990, allorché nella stessa ex banda brigatista di via Montenevoso verrà trovata una seconda copia del memoriale di Moro, comprendente brani inediti rispetto alla versione nota nel 1978. Alcuni riguardavano i finanziamenti della CIA alla DC e altri rivelavano la struttura clandestina antiguerriglia, poi nota col nome di Gladio. Perché i brigatisti non resero pubbliche quelle dichiarazioni? Avrebbero potuto creare imbarazzo alla DC e con la rivelazione di Gladio, avrebbero distrutto l’immagine dello Stato che si voleva saldo integro. Su questo punto, è evidente, i brigatisti mentono ancora oggi… Di Giulio Andreotti, Pecorelli continua a occuparsi prima, durante e dopo il sequestro Moro, tanto che la sera in cui quest’ultimo viene ucciso, il giornalista aveva già pronto il numero di “OP” con in copertina la sua foto e il titolo a tutta pagina: Gli assegni del presidente. Dell’ articolo con la copertina che annunciava non sono stati mai rinvenuti né il dattiloscritto né la bozza.””
– da pag.226. “”La storia della banda della Magliana si è chiusa con le dichiarazioni di Maurizio Abbatino, dell’ uomo che per mesi mi ha raccontato la sua vita. Ho frugato nei suoi pensieri prima, nelle mie registrazioni poi, per cercare di ricostruire una storia vera, reale. La storia di una banda che ha intrecciato le sue trame con golpisti, banchieri impiccati, ragazze scomparse, politici sequestrati e ammazzati, fascisti mercenari. La storia dell’ ultimo boss testimone di una stagione brutale e sanguinaria, ancora avvolta in troppi misteri. Oggi Abbatino è stato sbattuto fuori dal programma di protezione. Per questi molti pregano per una sua veloce dipartita, e sperano che non aggiunga altro ai suoi ricordi. D’altronde “il Freddo” doveva aspettarselo. Le retromarce giudiziarie erano già toccate a Fulvio Lucioli, “il Sorcio”, e Claudio Sicilia: il primo passò per pazzo mitomane, l’ altro, il Vesuviano, direttamente a miglior vita. Il trattamento riservato ad Abbatino, che mai ha ritrattato e mai ha fatto un passo indietro, al contrario di altri collaboratori della banda della Magliana, fa passare l’ inquietante messaggio che sia meglio non parlare. Un messaggio che guarda caso è arrivato quando a Roma si è aperto il processo Mafia capitale. Abbatino l’ho cercato prima di questa inchiesta. Volevo a tutti i costi intervistarlo, per questo ho contattato, o meglio quasi stalkerizzato, una persona legata all’ ex boss. Le telefonate, le mail, i messaggi sono stati così tanti e insistenti che alla fine il Freddo ha accettato di incontrarmi. Due anni dopo la mia prima richiesta. Mi ha aspettata nel parcheggio di una stazione dove sono arrivata con due ore di ritardo per il guasto a un treno partito da Milano. Mi ha individuata mentre ancora guardavo le facce degli uomini che mi passavano davanti. Mentre cercavo di riconoscerlo, lui era già le mie spalle. Elegantissimo, con una giacca marrone e un foulard al posto della cravatta. Pochi giorni prima, il 3 Aprile 2017, nell’ aula bunker di Rebibbia, Massimo Carminati aveva fatto il suo nome. Lo aveva accusato di essere l’ autore di un complotto ai suoi danni. Di aver organizzato tutto affinché il teste chiave del processo, lo skipper romano Roberto Grilli, arrestato con 500 kg di cocaina, gli riconoscesse un ruolo nell’importazione di stupefacenti dal Sudamerica.
Le risposte riportate in questo libro sono verificate e chi le ha date non è il vigliacco ex brigatista o il coniglio mafioso. Il Freddo non ritratta, piuttosto omette, “Perché di ogni cosa che scriverai ti verrà chiesto conto”. È un uomo lucido, integro, che quasi vuole impedirsi di dimenticare i suoi omicidi, deciso a scontare giorno per giorno una pena senza attenuanti. “Non so quante volte ho ucciso. Ma ricordo i nomi di tutte le mie vittime. La cosa strana è che non riesco a contarle”. È la frase che mi ha accompagnata fino alla fine di questo libro insieme alla sensazione che Abbatino possa sapere qualcos’ altro. Qualcosa che non ha detto, un segreto che non condividerà mai con nessuno. Una sensazione, però, soltanto questo.””
Sin qui il libro.
Concludiamo con questa recente notizia. Su “La Repubblica” del 10 marzo 2021:” Mondo di mezzo, sentenza d’appello bis: dieci anni di reclusione per l’ex militante dei Nar Massimo Carminati e 12 anni e 10 mesi all’ex capo delle cooperative Salvatore Buzzi. È l’esito del processo d’appello bis al ‘Mondo di Mezzo’, disposto dalla Cassazione solo per la rideterminazione delle pene per venti imputati, a seguito della sentenza del 22 ottobre del 2019 che faceva definitivamente cadere il reato di mafia. L’ex Nar, presente in aula, ha trascorso 5 anni e 7 mesi di carcere preventivo. Per Buzzi la corte d’appello di Roma ha stabilito anche l’incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione per tre anni, mentre a Carminati da una parte ha revocato la misura della libertà vigilata, dall’altra ha comminato 4 mila euro e confermato la misura di sicurezza dell’assegnazione a una colonia agricola o casa di lavoro per almeno due anni e tre mesi. Tra le pene ricalcolate ci sono quelle che riguardano, tra gli altri l’ex consigliere comunale Luca Gramazio (5 anni e 6 mesi), l’ex Ad dell’Ama Franco Panzironi (3 anni e 6 mesi). La speranza è che la politica riesca a dare una rapida risposta al Paese, rendendo impraticabili tali strategie”. Ma la politica farà qualcosa? Certo, lo si spera, basta che si inizi subito a varare Leggi che sostituiscano quelle che in tanti anni hanno depotenziato il quadro normativo favorendo le mafie; poi, che si accordino alle Polizie gli strumenti necessari di incremento degli organici, di ordine economico, materiale ed anche morale. Su questa testata più volte abbiamo sostenuto la circostanza del perché, oggi, tutti si lamentano che in Italia non funziona la pubblica amministrazione con i suoi uffici centrali o distaccati; che la Giustizia è lenta mentre la sanità non va benissimo e la scuola e le Università sono carenti. Perché la prevenzione delle Polizie è insufficiente?
Ribadiamo il concetto che da tempo la politica ha occupato tutti gli spazi e la tecnica fa poco o nulla d’iniziativa per migliorarsi, sempre in attesa dell’input della politica sul da farsi, però nei termini indicati dalla politica stessa. Diciamo che questo è molto grave perché facendo così mettiamo a rischio la vita e la sicurezza dei cittadini. Si ripristino i vecchi criteri, soprattutto si dia spazio al merito, ormai col “piqquattrismo” degli ultimi venti anni diventato una Chimera, e si vedrà un sostanziale miglioramento del quadro generale. Sia certamente la politica a dettare le linee strategiche, ma dovrà essere la tecnica ai vari livelli di responsabilità a fare ciò che le compete.
Come una volta, in modo autonomo, incisivo e determinante. A questo risponde l’ex Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone (ricordiamo nell’ incarico dal 27 marzo 2014 al 23 ottobre 2019). Dal 17 giugno 2020 ricopre la carica di Procuratore della Repubblica a Perugia, a seguito della nomina da parte del CSM, che anni addietro ha sostenuto: “Le persone perbene non riescono a fare carriera all’interno della pubblica amministrazione. Spesso le persone perbene all’interno della pubblica amministrazione sono quelle che hanno meno possibilità di fare, spesso fanno meno carriera. Spesso sono meno responsabilizzati perché considerati per bene”. Secondo l’autorevole Magistrato Cantone è ora di recuperare parole che non si usano nel nostro mondo del lavoro. Una è la parola “controllo”. Si, ci vuole controllo.
Aggiungo che ho ben conosciuto la banda della Magliana per aver operato cinque anni alla Compagnia Trastevere. Ho conosciuto ovviamente anche Franco Giuseppucci, chiamato prima “Er fornaretto”, per la panetteria in via della Luce, e in seguito “Er negro”. Era il 13 settembre 1980, quando Giuseppucci venne ucciso davanti ad un noto bar di piazza San Cosimato, con un colpo di pistola sparato dagli esponenti della famiglia Proietti, i cosiddetti“Pesciaroli”. Successivamente ho operato per oltre un quadriennio all’Antiterrorismo del Ministero dell’Interno diretto dal grande ed unico Prefetto Vincenzo Parisi, con grandi risultati. Concludo che holetto numerosi libri sulla Banda della Magliana scrivendo poi articoli pubblicati su questa testata di cui è Direttore Salvatore Veltri. Per chi ha interesse ne propongo due.
– “Il Ricatto alla Repubblica… Ricordando vicende da film di Mafia Capitale… Massimo Carminati”(https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/il-ricatto-alla-repubblica-ricordando-vicende-da-film-di-mafia-capitale-massimo-carminati-44620/)
– “Mai ci fu pietà – di Angela Camuso. Ancora sulla banda della Magliana… a Roma non grandina ma diluvia!” (https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/mai-ci-fu-pieta-di-angela-camusso-52147/).