Ricordando ancora Gabriele d’Annunzio, il Sommo Vate della nuova Italia!
Con articolo del 18 Febbraio 2013 dal titolo: “Il sommo Gabriele d’Annunzio dimenticato dagli italiani?” lamentammo che l’Italia, in modo in verità modesto, celebrava il 150° anniversario della nascita di uno dei maggiori rappresentanti della cultura del ‘900.
Quindi, per tale importante evento si attendevano iniziative significative che lumeggiassero meglio dal punto di vista letterario e storico colui che fu una vera e propria leggenda vivente, e questo con importanti convegni cui far partecipare studiosi e critici letterari nazionali ed esteri. Invece, ci si è limitati a dar vita ad una pièce teatrale certamente innovativa, presentata in varie città, che ha ripercorso la vita del sommo scrittore; poi, la pubblicazione di alcuni libri di autori – dimentichi della sterminata pubblicistica esistente – su amplessi, ancorchè estetizzanti e lirici, indubbiamente fonte di ispirazione letteraria, con l’aggiunta sulle preferenze per cibi e bevande….
Ora, finalmente in libreria un bel libro sul Vate della Nuova Italia, scritto con rigore storico eccezionale dalla studiosa britannica Lucy Hughes-Hallett, dal titolo:”Gabriele d’Annunzio- L’uomo, il poeta, il sogno di una vita come opera d’arte” (Rizzoli Editore, gennaio 2014, euro 25,00).
Con questa opera la scrittrice si è aggiudicata il prestigioso “Samuel Johnson Prize” per la saggistica, certamente una grossa soddisfazione non solo perché Lucy Hughes-Hallett ha battuto rivali agguerriti, ma soprattutto perché il personaggio cui ha dedicato la propria ricerca non gode di grandi simpatie nel Regno Unito. Lo si evince dalle dichiarazioni rilasciate da Lord Martin Rees, Presidente della giuria, che ha definito d’ Annunzio “un repellente egoista”, enfatizzandone la responsabilità nell’aver trascinato l’Italia nella Prima guerra mondiale (peraltro a fianco della Gran Bretagna) e nell’aver favorito “la successiva ascesa del fascismo”. Quindi, una storia documentata su quegli anni difficili della storia italiana che accende i riflettori sui rapporti tra il Vate e Mussolini e che vide quest’ultimo, in un breve arco temporale, dapprima lusingare, poi soppiantare il Vate prendendo il suo posto nella storia.
Certo, fu uno scontro tra personalità molto forti, che nell’estate del 1919 ebbe il momento più alto del successo politico di d’Annunzio, tanto che tutto, allora, lasciava pensare all’affermazione politica del Poeta. Qualche tempo prima, a Parigi, il Presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, aveva riferito ai partecipanti alla Conferenza di pace che presentiva l’ imminente caduta del suo Governo, sia per una congiura parlamentare, sia soprattutto a seguito di agitazioni di piazza, non sottacendo il nome di d’Annunzio. Infatti, a settembre del 1919, il Vate, al comando di 2.500 uomini occupò Fiume, proclamandone l’annessione all’Italia. Prima di partire, scrisse a Mussolini una lettera che, secondo lo storico De Felice, non si può dire che lo avesse informato esaurientemente dei suoi disegni.
Con altra lettera, i toni furono sferzanti: “Mi stupisco di voi… tremate di paura… state lì a cianciare mentre noi lottiamo… E le vostre promesse? Bucate almeno la pancia che vi opprime e sgonfiatela”. In occasione del “Natale di sangue”, cioè quando, tra il 24 e il 29 dicembre del 1920, i Soldati italiani attaccarono i Legionari fiumani, Mussolini accettò il fatto compiuto senza commenti; la sua visione fu giusta, in quanto fu lui a raccogliere l’eredità di Fiume, appropriandosene.
Ma l’autorevolezza di d’Annunzio, anche a livello internazionale, non scemò, tanto che nel maggio del 1922 ricevette Georgij Cicerin, il Commissario sovietico agli Affari esteri, che alloggiò al Vittoriale per qualche giorno. “Mostrate molto più coraggio voi nel ricevermi di quanto non ne mostri io nel farvi visita”, gli disse il russo. “Io non ho mai temuto i contagi”, gli rispose il Vate, fraintendendo volutamente, secondo Hughes-Hallett, l’osservazione.
A seguito di ciò i comunisti italiani, per un momento, pensarono che fosse un segnale di disponibilità nei loro confronti. In verità, Lenin li invitava a non trascurare quell’uomo, tanto che Antonio Gramsci gli chiese un abboccamento, non accolto, mentre il fondatore del Partito comunista, Amadeo Bordiga, addirittura un anno e mezzo dopo la marcia su Roma, inviò nel gennaio del 1924 messaggi al Vate per ottenere da lui una presa di distanze da Mussolini e un ricongiungimento con la sinistra.
Ma gli eventi presero una direzione diversa.
Il 28 ottobre 1922, giorno della marcia su Roma, Mussolini scrisse a d’Annunzio: “Non vi chiedo di schierarvi al nostro fianco, il che ci gioverebbe infinitamente; ma siamo sicuri che non vi metterete contro questa meravigliosa gioventù che si batte per la nostra e vostra Italia”. Da quel momento, d’Annunzio, che mai si sarebbe schierato a fianco di Mussolini, cercò rifugio “nell’incoerenza”. La sua risposta fece cenno alla “tristezza” e al “disagio spirituale” che provò nell’udire la notizia dell’accaduto, ma promise di dare al fascismo un “colpo di spalla risoluto e robusto”. Si impegnò, inoltre, “come se si stesse rivolgendo a un criminale”, fa notare Lucy Hughes-Hallett, a “non veder, non udir”. In realtà, al Duce “tornava utile che il popolo italiano credesse nel pieno appoggio del poeta al nuovo regime… in realtà i due continuarono a diffidare uno dell’altro”.
D’Annunzio evitò qualsiasi manifestazione pubblica di sostegno al regime, e solo saltuariamente prese pubblica posizione come a seguito dell’ uccisione di Giacomo Matteotti, definita una “fetida ruina”; poi, per esprimere dissenso nei confronti dei Patti lateranensi, da lui definiti un “accordo con la pretaglia”; ancora, per orientare il Duce contro Adolf Hitler, definito “Un marrano dall’ignobile faccia offuscata sotto gli indelebili schizzi della tinta di calce di colla”, “Attila imbianchino”, ovvero “ridicolo Nibelungo truccato alla Charlot”.
La morte colse il Poeta Soldato, “Ariel Armato”, il 2 marzo del 1938. Certamente, l’autrice ha privilegiato a tutto campo i contenuti storici che riguardano il grande Italiano, ma ha anche toccato gli importanti suoi ambiti letterari, riconoscendo che trasse ispirazione da molti sommi autori, da Swinburne a Wagner, da Huysmans a Dostoevskij; ma dichiara che d’Annunzio fu allo stesso tempo un innovatore e anticipatore di genio, nietzschiano prima di Nietzsche; modernista prima degli altri modernisti; postmoderno prima che il termine fosse ancora sognato; e, cosa più importante di tutte, un politico proto-situazionista di spettacolo, e forse il modello di definizione per il fascismo.
Quindi, un bel libro che consiglio a tutti, anche ai più giovani lettori, oltre ovviamente ai cultori di storia patria.
Sempre su questa testata, altri articoli del 28 Febbraio 2013: “Dopo il nostro richiamo, si ricordano di Gabriele D’Annunzio” e del 18 Novembre 2013: “Mazzette anche per celebrare il sommo Gabriele D’Annunzio”