Una volta che le periferie esploderanno, com’è possibile, non saranno certamente i Reparti Celere della Polizia né i Battaglioni dei Carabinieri in tenuta antisommossa a risolvere i problemi dell’integrazione e del controllo di legalità.
L’8 Aprile scorso, abbiamo affrontato il tema sicurezza pubblicando su questa testata l’articolo: “Quale futuro per la sicurezza dei cittadini?“. Ora, torniamo in argomento su richiesta di alcuni lettori, concentrandoci sulle periferie urbane che, non esageriamo, stanno per esplodere a causa del fenomeno dell’immigrazione imponente e incontrollata che, con l’arrivo di moltitudini di persone, pone il problema di una nuova realtà multietnica difficile da metabolizzare e integrare.
Il problema non è nuovo, tanto che, per cercare una risposta alla richiesta di sicurezza e per evitare rivolte come quelle delle banlieue di Parigi, il Ministero dell’Interno, nel 2005, commissionò all’ Università Cattolica di Milano uno studio che si concluse qualche tempo dopo con il rapporto “Processi migratori e integrazione nelle periferie urbane”.
Tale studio sosteneva che l’Italia era diversa dalla Francia, dove c’era una ghettizzazione pesante, concentrata e asserragliata in ambiti circoscritti; da noi, invece, tali insediamenti occupavano a macchia pezzi di periferia come anche di aree centrali. Ma ciò che accomunava le due Nazioni era la mancanza di volontà di conoscenza reciproca tra i due poli umani che probabilmente avrebbe fatto diminuire pregiudizi e paure. Nel 2005, in Francia, protagoniste della rivolta sono state le seconde e terze generazioni di Francesi integrati che non si sentivano Francesi. Da noi, invece, queste generazioni, diciamo di “regolari”, stanno crescendo adesso con l’aggiunta di immigrati “irregolari” il cui numero aumenta continuamente. Lo studio della Cattolica, poi, metteva in luce l’aspetto primario della sicurezza, sostenendo che nelle periferie italiane vi era, sin da allora, ma certamente ancor prima, una maggiore percezione di insicurezza da parte della cittadinanza residente, tanto da sostenere che “a proposito delle misure repressive della criminalità, occorre segnalare come, pur non potendo certo essere trascurati i fatti più gravi, questi risultano essere in calo e non specificamente riferiti alla realtà delle periferie. Viceversa, sembrano oggi richiedere una particolare attenzione alcune condotte meno gravi: reati lievi, illeciti non penali, comunque fonte di disagio sociale”. Così, alcuni anni fa, un’analisi dai toni sorprendentemente contenuti e possiamo dire rassicuranti.
E oggi, ancora come allora? Certo che no; la situazione è molto più complessa. Pensare che nel quartiere di Torpignattara, in Roma, secondo uno studio, “…dal 2007 gli immigrati sono aumentati dell’81%, tanto che in alcune strade si vedono quasi soltanto bengalesi con negozi alimentari e internet point e cinesi con ristoranti e laboratori; meno visibili i romeni, impegnati nei cantieri. La tensione è (ritenuta) ‘pesante'”.
I Servizi di Intelligence e gli Uffici Analisi delle Polizie a competenza generale avranno certamente un quadro più aggiornato dei fenomeni in esame e mentre lasciamo ai sociologi approfondite analisi sui risvolti di loro competenza, noi faremo, invece, alcune riflessioni sul gran tema della sicurezza. In primis, con urgenza, andrebbe studiato un nuovo modello per le grandi Città che monitori i fenomeni e attui un programma coordinato di vigilanza massiva, assidua e presente nelle 24 ore, soprattutto nelle periferie urbane. Si tenga però presente che la dislocazione dei presidi di Polizia e Carabinieri in tali ambiti, grosso modo, ricalca quella degli anni sessanta. Ed è così anche per Roma Capitale, nel cui comprensorio urbano centrale e periferico operano Commissariati di PS e Stazioni Carabinieri che gestiscono una realtà ormai incontrollabile. Così era negli anni sessanta, così è oggi, con la differenza che rispetto al passato la componente numerica degli operatori si è probabilmente dimezzata. Quindi, una presenza costante delle “divise di quartiere”, ben supportate da “Volanti” della Polizia e da “Gazzelle”dell’Arma, in buon numero, quale fattore di deterrenza contro il crimine, di rapido intervento all’emergenza, di monitoraggio dei fenomeni per cogliere segnali importanti di disagio sociale sfociabili in gravi rivolte.
Una volta che le periferie esploderanno, com’è possibile, non saranno certamente i Reparti Celere della Polizia né i Battaglioni dei Carabinieri in tenuta antisommossa a risolvere i problemi dell’integrazione e del controllo di legalità, e questo in virtù del motto latino che recita che è… meglio prevenire, che reprimere……
La palla, quindi, passa alla politica, ieri della dimenticanza ed oggi dei ‘Proclami’, che invece di usare la forbice anche sul tema sicurezza, pensi invece ad allargare i cordoni della borsa, anche e soprattutto perché i cittadini elettori le chiederanno, presto, conto e risposte…..