Dopo che nella sua città, Venezia, da giorni, veneziani e non, compostamente ma affettuosamente, le hanno recato omaggio. Una giovane donna che studiava, lavorava, viveva, sperando in un mondo migliore.
Valeria è vittima, fra le vittime, di quanto non possiamo aspettarci e accade.
Il suo sangue sparso è fra quello di persone che, cercando giorno dopo giorno di costruire la vita, ricevono in cambio la morte: per un testimone di odio che non hanno portato. Che si ritrovano, sconosciute agli aggressori, designate per una fine causata.
Chi gli armati, questa volta?
Uomini e donne, con sovente un ultimo atto anche contro se stessi, che credono di guardare in faccia la realtà, uccidendo senza alcun senso di onore persone inermi. Mentre, uccidendo e uccidendosi, della verità ottengono solo l’immagine di uno specchio scoppiato. Come se quanto non condiviso o subito possa essere imputabile a chi non ne ha parte. Come se la paura possa costruire vere soluzioni, nel mondo, più facili e adeguate e durature. Se è questo quanto, terribilmente, perseguito.
Ma siamo più propensi a ritenere che frutto auspicato possa essere un accentramento insieme ad una contestuale, satellite, destabilizzazione per ora fine a se stessa.
Ma fatti su fatti, avvenimenti su avvenimenti, lontani dalla vita di Valeria come da quella di ognuno di noi oppure, noi inconsapevoli, vicinissimi, sono come farfalle che volano intorno al nostro viso e che, sembra, non si fermino abbastanza per lasciarsi guardare.
Le maglie della storia rendono, poi, giustizia su quanto ci sfugge tutti i giorni. Fondare le nostre valutazioni su un abbaglio, ci rende simili a marionette guidate da fili di fuoco. È la nostra vita che si consuma, che brucia, minuto dopo minuto. E può finire con noi vittime,
altri gli aggressori, contingentemente su due diverse rive di un fiume, che va dalla vita alla morte, senza che alcuno abbia consapevolezza piena di quanto al di fuori del limitato teatro d’azione efferata accade. Di dove e come l’occasionale o più duraturo burattinaio agisce.
Chi scrive ha fatto parte, nella prima giovinezza e in compagnia di una zia, di alcuni ignoti passanti che, in un giorno qualsiasi, nel proprio Paese, si ritrovarono, per così dire, catapultati in un androne dalle Forze dell’Ordine che, così facendo, evitarono a tutti
una raffica di pallottole di origine terroristica.
Un’esperienza e un debito, ancor più, per ricordare.