Speranza e realtà
In un contesto epocale come il nostro, caratterizzato da un irrefrenabile istinto di plateale e viscerale globalizzazione con devastanti ricadute sui più collaudati sistemi di civile convivenza tra comunità e soggetti eterogenei e pragmatici, sembra riescano miracolosamente a sopravvivere taluni valori molto importanti sotto il profilo etico e deontologico che alimentano la fede e la speranza in una vita ancora meritevole di essere vissuta.
Le ragioni di questo mirabolante fenomeno di straordinaria resipiscenza che per i credenti, (ed io sono tra questi), nobilita il creato e glorifica il Creatore, al quale (piaccia o non piaccia), è demandato il dominio spirituale dell’intera comunità, vanno ricercate nel fatto che, nonostante le rivoluzionarie scoperte scientifiche e tecnologiche, il “Manovratore terrestre” dell’intero mappamondo continua ad essere l’Uomo, con le sue passioni, le sue attrazioni e le sue debolezze tipiche di ogni essere umano.
Ebbene, se questa teoria è fondamentalmente giusta, ed io non ho alcun motivo per dubitarne, ritengo che per svelare l”arcano mistero’ sia necessario capire meglio le tipologie dei vari soggetti e, soprattutto, scomporre ed analizzare i risvolti più emblematici e significativi della loro complessa personalità.
Non potendo ampliare questo tipo di ricerca per la ben nota carenza di spazio, mi limiterò ad estrapolare soltanto uno di questi aspetti, sicuramente il più ricorrente e più rappresentativo tra i comuni mortali, come la “Speranza”, definita, dai nostri più antichi antenati, anche come “ultima dea “.
Il “vecchio adagio “continua ad ammonirci che “finché c’è vita c’è speranza” ed è fondamentalmente vero, ma è altrettanto verosimile anche il concetto opposto: ‘finché c’è speranza c’è vita” e la cartina di tornasole potrebbe essere rappresentata dalla constatazione che quando un soggetto cosiddetto “normale” non abbia più interesse per nulla e per nessuno, finisce ineluttabilmente per pregiudicare e svilire la propria funzione vitale, da non confondere con quella fisiologica o vegetativa, che sono tutt ‘altra cosa.
Molteplici le cause che possono determinare l’insorgenza di questa grave “patologia” legata generalmente ad un precario stato psico-flsico, aggravato da tutta una serie di complicazioni concomitanti aventi tutte come comune denominatore la solitudine, il degrado interiore ed il totale disprezzo per quanto accade nell’ambito della propria percezione e del proprio discernimento.
Così può accadere (e spesso accade) che un “giovinotto” o una “donzella” della terza età avanzata, qualora abbia la piena consapevolezza di aver raggiunto la vera “pace dei sensi”, di non avere più una famiglia, di aver perduto tutti gli amici e le amiche con interessi in comune, di essere nauseati degli svaghi intriganti e peccaminosi, di avvertire il disgusto per i banchetti luculliani, per l’alcol, per il tabacco e per altre golosità un tempo stuzzicanti e gratificanti, allora sibila forte e chiaro il segnale che si è giunti al capolinea.
Inizia così un profondo stato di depressione e di torpore mentale che si manifesta nel più completo disinteresse della propria persona avvitandosi in una spirale di indolenza, di sconforto e di irreversibile disperazione che insieme possono portare al suicidio o ad invocare l’eutanasia.
Fortunatamente all’interno del nostro più o meno vasto consesso non si recepiscono sintomatologie di questo genere, perché la “Speranza” nel futuro dovrebbe regnare sovrana e spalmata in tutte le salse con una progettualità fantasmagorica, quasi ossessiva, che non conosce deroghe latitudinali, generazionali, settoriali o temporali, con sommo gaudio di tutti e per tutti.