Roma, 1 Luglio 2023 – Si è tenuto presso la Scuola Ufficiali Carabinieri di Roma, il convegno commemorativo del 60° anniversario della strage di Ciaculli, organizzato dal Comando Generale dell’Arma.
Ad aprire i lavori, l’intervento introduttivo del Comandante Generale dell’Arma Teo Luzi, alla presenza del Comandante emerito Gen. C.A. Tullio Del Sette, del Procuratore della Repubblica di Roma Dott. Francesco Lo Voi, di altri esponenti dei vertici dell’Arma e di diversi familiari delle vittime.
In platea spiccava la presenza di moltissimi giovani allieve e allievi ufficiali della Scuola, a cui l’iniziativa era principalmente rivolta.
La borgata agricola di Ciaculli, alla periferia sudorientale di Palermo, si sviluppa sul declivio di raccordo ai rilievi calcarei che al capoluogo siciliano fanno da quinta.
Il nome di Ciaculli è noto per il suo prodotto d’eccellenza, il mandarino tardivo, vanto dell’agricoltura della Conca d’Oro palermitana.
Eppure questa località deve essere ricordata per un evento tragico, che fu punto di svolta della strategia criminale di Cosa Nostra.
Il 30 giugno del 1963 fu segnalata alla locale Stazione Carabinieri, da telefonata anonima, la presenza di una vettura abbandonata in una trazzera (un tratturo tra gli agrumeti).
L’Alfa Romeo Giulietta targata PA76373 fu rinvenuta con gli sportelli aperti e gli pneumatici forati; sul sedile posteriore, una bombola di gas con relativo innesco.
Dopo l’intervento degli artificieri e il taglio della miccia, fu dichiarato il cessato allarme.
Purtroppo, all’apertura del cofano posteriore da parte del Tenente Mario Malausa, comandante delle Tenenza Carabinieri di Roccella, vi fu la deflagrazione del tritolo ivi contenuto, che uccise tutti i presenti.
Oltre a Malausa, perirono altri tre Carabinieri (il Maresciallo Calogero Vaccaro e gli appuntati Eugenio Altomare e Marino Fardelli), il maresciallo di Pubblica Sicurezza Silvio Corrao, il maresciallo Pasquale Nuccio e il soldato Giorgio Ciacci dell’Esercito.
Le ricostruzioni degli eventi collocano la strage nel contesto della cosiddetta “prima guerra di mafia”.
Si tratta del conflitto per il predominio su Palermo, che vide contrapposta la “famiglia” di centro città, guidata da Angelo La Barbera, a tutti gli altri componenti della “Commissione provinciale”, che facevano capo a Salvatore Greco, della famiglia di Ciaculli.
Il processo tenutosi a Catanzaro non fece luce sulla vicenda, né porto a condanne significative.
Sarà oltre venti anni dopo Tommaso Buscetta, che alla prima guerra di mafia partecipò (cominciando la sua latitanza internazionale proprio dopo la strage di Ciaculli), a dare una sua personale versione della vicenda, dichiarandosi al giudice Falcone come estraneo alla vicenda.
In questa sede, si ritiene opportuno chiudere qui la sinossi, rimandando ogni approfondimento alla tanta letteratura sull’argomento.
La trattazione storica dell’evento e dei suoi risvolti etico-sociali ha avuto nel convegno l’impostazione di una tavola rotonda, con la partecipazione di autorevoli esperti.
Tre siciliani d’origine (rispettivamente il Gen. C.A. Giuseppe Governale, già comandante del ROS e della DIA, il giornalista e scrittore Gaetano Savatteri e la professoressa Manoela Patti del Dipartimento di Scienze Politiche e delle relazioni internazionali dell’Università di Palermo) e lo scozzese John Dickie, storico, conduttore televisivo e docente di studi italiani allo University College di Londra.
I relatori hanno illustrato in modo coinvolgente la vicenda storica e giudiziaria della strage, rimasta ad oggi insoluta.
Di seguito alcuni spunti di riflessione emersi.
In primo luogo il punto di svolta, nella concretezza dei fatti e nell’immaginario collettivo nazionale della mafia siciliana.
Fu un cambio radicale.
Usciva di scena una “mafia di lupara”, incarnata dal picciotto baffuto, il viddrano con coppola e gilet, che si limitava ad accoppare in mezzo ai fichi d’india il proprio confinante.
Usciva allo scoperto un’organizzazione criminale già strutturata in una rete internazionale efficientissima, che sino ad allora non era mai entrata in aperto conflitto con lo Stato.
Il cinema italiano del dopoguerra, ha magistralmente narrato la società del tempo, anche in anticipo.
In questo caso è “Il mafioso” del 1962, regia di Alberto Lattuada, protagonista Alberto Sordi, la pellicola da rivedere (anche qui la mano sapiente di Age e Scarpelli nella sceneggiatura, che del nostro cinema è stata elemento fulcro).
Inoltre, dalla strage di Ciaculli partì l’impulso ai lavori della Commissione parlamentare antimafia, istituita formalmente nel dicembre1962.
Da ricordare l’impatto emotivo sulla società civile, con una partecipazione immensa della cittadinanza alle esequie di stato, superiore anche a quella di trent’anni dopo per gli estremi saluti a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino.
Per concludere, prendo in prestito la similitudine che il Gen. Governale, rivolgendosi alle nuove leve dell’Arma, ha usato per evidenziare come il confine tra il lecito e l’illecito non sia mai netto, nel contesto mafioso.
Rispetto alle regole di base dell’era digitale, in cui esiste il sistema binario 0/1 a rappresentare i due opposti distinti, il terreno di coltura della mafiosità si alimenta invece di un continuum di infinite sfumature di grigio.
Arrivederci perciò a prossime auspicate iniziative come questo convegno che, analizzando criticamente il passato, diano prospettive future per la cultura della legalità.