Roma, 25 aprile 2021 – “Terrore e terrorismo”, un libro di grande interesse che va letto.
È un lavoro ambizioso quello di Francesco Benigno, perché si propone di ripercorrere la storia bisecolare di un fenomeno ampiamente dibattuto, il terrorismo, e, tuttavia, tutt’altro che chiaro nei suoi contorni e connotati.
L’etichetta di «terrorista» viene assegnata a seconda delle circostanze e degli interessi in campo e, generalmente, è rifiutata da chi viene qualificato come tale.
Per parlare di terrorismo Benigno sceglie di farne la storia, inserendo azioni e parole nel loro tempo: partendo da Robespierre e il giacobinismo, il libro passa per Babeuf, Buonarroti, Mazzini e Carlo Bianco di Saint-Jorioz, Blanqui, Pisacane, i populisti russi, l’indipendentismo irlandese, la «propaganda del fatto» degli anarchici, il rapporto tra terrorismo e bolscevichi, i riflessi nel mondo coloniale, le lotte per l’indipendenza dell’Algeria, gli «anni di piombo» in Europa e in America latina, gli attentati palestinesi, l’11 settembre, per arrivare agli anni recenti e alla proiezione tendenzialmente globale del terrorismo islamico.
A questo proposito, scrive Benigno, il terrorismo «si rivolge non tanto alla popolazione della nazione da colpire quanto soprattutto a un proprio popolo, a una propria comunità. Gente che va richiamata alla lotta e a cui occorre dimostrare che vincere è possibile, che il debole può sconfiggere il forte. L’atto “terroristico” non è dunque messo in atto con il fine primario di terrorizzare, ma con quello di conquistare i cuori e le menti di un popolo considerato oppresso».
Iniziamo a leggere parti del libro.
“”Introduzione. Il fantasma del nostro tempo. Si tratta di idee su come si possa o meno facilitare la rivoluzione, su come si conquistino «i cuori e le teste» della gente ma anche idee su come l’ azione terroristica possa in determinati contesti essere una forma o anche persino una prosecuzione della politica. In queste pagine si cercherà dunque di ragionare di terrorismo in chiave di tradizione storica, usando come filo rosso non tanto gli eventi, gli attentati politici e le stragi, quanto i discorsi che si sono succeduti fin da quando i termini terrorista e terrorismo sono stati coniati. Durante la Rivoluzione francese, infatti, all’indomani di Termidoro, si iniziò a designare in tal modo Robespierre e la leadership rivoluzionaria del 1793-94, ovvero i protagonisti di quel periodo chiamato Terrore.
La domanda intorno a cui il libro si dipana e a cui cerca di rispondere è se sia possibile individuare una tradizione culturale imperniata sull’uso politico del terrorismo. In quest’ottica, si è rintracciata nella storia europea prima e in quella mondiale poi un’influente eredità intellettuale incentrata sulla valenza liberatoria della distruzione, sulla potenza rigeneratrice della violenza.””
– da pag.197. “” Giovani contro. I processi di allargamento della scolarizzazione e dell’istruzione superiore avevano contribuito a creare una «controsocietà» giovanile. Tra le differenze spiccava l’ascolto di generi musicali nuovi, come il rock e il pop, che trascinavano con sé orientamenti ideali, mode collettive e stili di vita. Negli Stati Uniti dei primi anni Sessanta, in particolare, il rifiuto della guerra del Vietnam e l’avversione per il puritanesimo e l’ autoritarismo della cultura tradizionale diedero origine alla cosiddetta cultura hippie (o hippy). Masse di giovani accomunate dal rifiuto dei valori tradizionali, come la centralità morale del lavoro, la deferenza verso l’autorità e la coscrizione obbligatoria, infransero regole sociali come il matrimonio e la famiglia monogamica, praticando al loro posto la promiscuità sessuale e la vita di gruppo in «comuni», oltre all’uso di droghe (dalla marijuana all’hashish all’LSD). L’indomani, sulle pagine di «Le Monde», il sociologo e filosofo Edgar Morin battezzò questi giovani ammaliati dal rock americano «generazione Yé-Yé»: persone che tramite la musica e il ballo si riconoscevano e identificavano in uno stile di vita incentrato su principî alternativi al lavoro, alla famiglia e alla rispettabilità sociale. Da quel momento, infatti, i grandi raduni musicali giovanili divennero un rito collettivo di forte richiamo.
A Woodstock, sulla costa orientale degli S.U., il 15 e il 18 agosto 1969 si concentrò una folla di oltre mezzo milione di giovani, giunti da tutto il Paese, che diedero vita al concerto rock più famoso della storia. A partire dalla meta degli anni Sessanta, però, si fece strada anche la progressiva politicizzazione di questa controcultura giovanile. Il 1968 rappresentò insomma un momento di svolta, tanto in Giappone e nell’ emisfero occidentale, quanto in quello comunista, entrambi colpiti da una sorta di onda anomala di protesta contro la realtà esistente. Nei Paesi del blocco socialista e in Jugoslavia i giovani chiedevano soprattutto di potersi esprimere, viaggiare, riunirsi e amarsi liberamente, senza controllo statale, mentre a Ovest, dove pure quelle libertà erano garantite, esse erano per così dire snobbate, e la contestazione riguardava invece l’ insufficiente democrazia delle strutture pubbliche, l’asservimento alle logiche industriali e la diseguaglianza sociale. La progressiva politicizzazione del mondo giovanile era stata influenzata in modo decisivo dall’ opera di Herbert Marcuse. A tutto ciò si aggiungeva l’attrazione per i movimenti irredentisti e per le lotte anticoloniali, rilette per lo più in chiave marxista.
Ad esempio, molto significativo risulta in questo senso che un leader di stampo leninista classico, duro e intransigente (oltreché disciplinato in modo quasi maniacale) come «Che» Guevara venisse percepito dall’opinione pubblica internazionale – e segnatamente dalla «nuova sinistra» giovanile, libertaria e antistalinista – come un eroe romantico, il condottiero bello e avventuroso che guida il popolo verso il riscatto collettivo. Analogamente fuorviante fu l’importazione del mito di Mao Zedong. Un fenomeno come quello della «Rivoluzione culturale» fu completamente frainteso e scambiato per un’esperienza liberatoria, quando aveva invece rappresentato un’aggressiva campagna politica di massa promossa da Mao nel 1966 per rinsaldare la sua posizione nel partito. Il «libretto rosso» dei pensieri di Mao (un breve centone di brani e aforismi) divenne tra i giovani occidentali un testo di culto, un oggetto da portare in tasca o da sventolare come segno distintivo.””
– da pag.215. “”Guerriglia urbana. In un mondo che pareva attraversato dalla rivolta degli oppressi, la guerriglia insurrezionale si era trasferita in città. Anche in Italia la ribellione del movimento studentesco, unita a una forte conflittualità nelle fabbriche, aveva creato un clima di scontro sociale e instabilità politica: il cosiddetto «autunno caldo». Gruppi neofascisti si scontravano di frequente in piazza con giovani di sinistra, in un’ atmosfera che sembrava preludere a pericolosi sbandamenti. In molti settori della classe dirigente italiana, perciò, si fece strada l’ idea di fermare la spinta progressista avviata dalla contestazione studentesca e dalla ripresa delle lotte operaie.””
– da pag.265. “”Tra le versioni più radicali dell’Islam, tendenti ad abbracciare ogni aspetto della vita del fedele, alcune presero a rivendicare anche il diritto di guidare la vita politica, dando così origine all’islamismo, sorto sul finire del XIX secolo. Questi movimenti si influenzavano reciprocamente: ad esempio intellettuali desiderosi di recuperare una dimensione politica dell’Islam considerava il sionismo un modello per la Umma, la comunità dei musulmani. II pensatore che ha contribuito all’idea di un’ entità politica capace di aggregare il variegato universo islamico fu Jamal al Din al-Afghänī. Filosofo,
al-Afghänī era ossessionato dalla necessità che i Paesi islamici rispondessero alla sfida della modernizzazione adottando la scienza e la tecnologia europea, ma senza per questo perdere le proprie radici. Lungo tale linea di pensiero, egli assunse posizioni di dura contestazione della cultura occidentale, invitando alla resistenza armata, simboleggiata da un Corano tra due spade incrociate.
È significativo che uno dei primi esempi moderni di appello ai fedeli islamici per unirsi in un Jihād, una guerra santa contro l’ oppressore, sia avvenuto con l’arrivo in Egitto dell’esercito d’invasione di Napoleone Bonaparte (1 luglio 1798), che dovette fronteggiare un’insurrezione egiziana animata dal grido: «Cacciare gli infedeli!». Alla vigilia della Grande Guerra, nelle classi dirigenti delle potenze occidentali era diffusa la consapevolezza che tra le masse islamiche esistesse un potenziale politico inespresso, foriero di possibili, profondi rivolgimenti.
All’ indomani della Prima guerra mondiale, mentre una parte dei Paesi musulmani prendeva a modello la nuova Turchia di Kemal Atatürk e con essa l’ importazione a tappe forzate della modernizzazione occidentale, in altri Paesi, come l’ Egitto, iniziava a fermentare negli anni Venti l’idea di una riforma morale e politica di tipo islamico della società, tendenza intrecciata con le spinte all’indipendenza e con una serie di attentati contro le forze britanniche. Assai importante in tal senso fu la nascita, nel marzo del 1928, della Fratellanza Musulmana, associazione giovanile fondata da Hasan al-Banna. L’evento che tuttavia ebbe influenza maggiore sull’evoluzione dell’islamismo politico fu senz’altro la vittoria della rivoluzione islamica in Iran, un Paese uscito dalla Seconda guerra mondiale con una sovranità limitata, in cui al potere formale dello scià si opponevano quello, più sostanziale, del primo ministro eletto, Mohammad Mosadeq, e soprattutto l’influenza degli interessi angloamericani legati allo sfruttamento delle risorse petrolifere. Nel corso degli anni Settanta, tuttavia, lo scià incontrò diffuse resistenze tra le classi colte, insofferenti per i suoi atteggiamenti dispotici, e tra le masse popolari, cui la modernizzazione del Paese non offriva i benefici promessi e vagheggiati. Prendeva intanto piede in Iran l’islamismo sciita radicale, elaborato da pensatori come Ali Shariati, il quale, analogamente ai teologi cristiani della liberazione, mescolava la tradizione sciita con l’ideologia socialista e anti-imperialista. Allo stesso tempo, un clerico esiliato prima in Iraq e poi in Francia, Ruholläh Khomeyni, si stava imponendo come simbolo della resistenza allo scià, sostenendo che il governo giusto era quello guidato da giuristi islamici. Le forze d’opposizione trovarono, con il ritorno in patria da Parigi di Khomeynī, un leader capace di suscitare un vasto consenso.””
– da pag.279. “”Il primo importante attentato in territorio statunitense, però, c’era già stato: organizzato nel 1993 da Ramzī Ahmad Yūsuf a New York presso il World Trade Center, piazzando degli esplosivi alla base della torre Nord, e sperando che l’ esplosione ne producesse il collasso e il crollo contro la torre Sud. Arrestato nel 1995 a Islamabad e accusato di aver ucciso innocenti, Yūsuf avrebbe ribaltato l’ accusa. Poi Bin Laden affidò proprio a Khalid Shaykh Muhammad l’organizzazione dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Il 14 settembre, il Congresso autorizzava il Presidente a usare tutta la forza necessaria ed appropriata contro quelle nazioni, organizzazioni o persone che hanno pianificato, autorizzato, commissionato o aiutato l’attacco terroristico o che hanno ospitato tali organizzazioni o persone e ciò al fine di prevenire futuri atti di terrorismo internazionale contro gli Stati Uniti da parte di tali nazioni, organizzazioni o persone.””
Sin qui il libro.
Ora, come di consueto, integrazioni, valutazioni e conclusioni.
C’è da evidenziare che il terrorismo vive con noi. Vincenzo Lavenia su Il Mulino scrive: ”L’attentato del 15 marzo 2019, consumatosi nella lontana Nuova Zelanda per mano del suprematista bianco Brenton Tarrant contro due moschee di Christchurch e che ha provocato circa cinquanta morti, basterebbe da solo a dimostrare che l’insistita riconduzione del terrorismo alla sola matrice islamica è una pura operazione ideologica, che ha condizionato il dibattito occidentale negli ultimi trent’anni. Come sottolinea Francesco Benigno, in realtà il terrorismo è sorto a partire dal momento in cui in Europa (e non tra i «barbari») sono nate l’opinione pubblica, la rivoluzione e la controrivoluzione”.
Ora vediamo altro, in primis i pericoli che ora possono interessare la nostra Italia.
Anais Ginori, corrispondente del quotidiano La Repubblica, così scrive l’11 marzo: “I Servizi francesi. Ecco come l’Isis si ricostituisce in clandestinità e minaccia anche l’Europa: Parigi –“Lo Stato Islamico si sta ricostituendo nella clandestinità” dice Laurent Nuñez. Il Coordinatore nazionale dell’intelligence e dell’antiterrorismo lancia l’allarme in una lunga intervista al Figaro, nel giorno in cui la Francia commemora le vittime del terrorismo. “Anche se lo Stato islamico ha subito pesanti sconfitte sotto l’azione della coalizione e dei servizi segreti, si sta ricostituendo in segreto”. L’Isis, secondo Nuñez, continua ad avere strutture operative e di propaganda. “C’è una chiara volontà di riconquistare il territorio – prosegue l’alto funzionario francese -. “La seconda fonte di preoccupazione – aggiunge Nuñez – è la diffusione nei Balcani, ma anche nel Maghreb, di alcuni dei combattenti partiti a centinaia per l’Iraq e la Siria e che non sono stati tutti consegnati alla giustizia dopo aver lasciato le zone di combattimento”.
Ancora, nei giorni scorsi ,arrestato a Sparanise (CE) l’uomo accusato di aver fornito armi all’autore della strage di Nizza del 14 luglio 2016, Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, che provocò 86 morti di cui sei nostri connazionali…. Era colpito da mandato d’arresto europeo emesso dalle autorità francesi. L’uomo è stato localizzato sviluppando informazioni trasmesse dalla Direzione centrale e dalla Direzione centrale della Polizia criminale.
Concludiamo. La minaccia dei terrorismi, pur nella sua complessità spaventosa, non è in questo periodo il problema più grande vissuto dall’Europa in quanto le Nazioni sono indebolite dalla crisi economica per il ritorno della povertà soprattutto per la pandemia. Sappiamo dalla storia che è una realtà difficile da gestire con la forte reazione della gente contro la malapolitica, le lobby e le cricche economiche.
Ora, una domanda ovvia.
In che modo i Governi occidentali sostengono i Paesi più ricchi del Golfo, ben sapendo che alcuni sostengono i terroristi? Siamo certi che il terrorismo di cui parliamo non sia una leva politica di paesi ritenuti amici? Ai posteri l’ardua sentenza!
Dobbiamo però ammettere che c’è un vizio atavico nella nostra bella Italia, quello delle facili amnesie, con tendenza alla rimozione di ciò che è accaduto, persino quando si tratta di fenomeni drammatici che hanno sconvolto l’Italia come il terrorismo storico.
Cosa fare? Certamente l’attenzione va tenuta costantemente alta da parte di tutti non escludendo la gente comune perché oggi, sull’onda lunga della gravissima crisi economica, la saldatura dei gruppi terroristici esistenti “dormienti” ovvero ben vitali, con frange anarchiche anche internazionali, è senz’altro possibile.
Interessante questo mio articolo su Attualità.it sull’ ISIS che si finanzia con l’arte antica, facendo cassa come le mafie nostrane, vendendo beni archeologici. Davvero incredibile! (https://www.attualita.it/notizie/tematiche-etico-sociali/arte-antica-9659/)