In Sicilia – Una poetica tradizione per i più giovani

 
I doni dei morti
Chi ti purtaru i morti?
U pupu cu l’occhi torti (a pupa cu l’anchi torti)
U attu chi sunava
U surci chi abballava
Veni la zita
ca’ vesti di sita
La sita si vagna
alla faccia di to nanna.
To nanna muriu  
e chiddu chi voli Diu
Veni so cugnata ca’ vesti riccamata
Veni u baruni cu i causi a pinnuluni
Veni u tavirnaru cu na buttigghia na manu
tirituppiti e lariula’
pisci frittu e baccalà

Cosa ti portarono i morti?
Un pupo con gli occhi storti (una pupa con le anche storte)
Un gatto che suonava
Un topo che ballava
Viene la ragazza
col vestito di seta
La seta si bagna
Alla faccia di tua nonna

Tua nonna morì
E quello che vuole Dio
Viene sua cognata
con la veste ricamata
Venne un barone
con i calzoni a pendoloni
viene un tavernaio

 con la bottiglia in mano
tirituppiti e lariula’
pesci fritti e baccalà.

Familiare, frizzante, storica, strampalata la filastrocca dello IORNU DI LI MORTI.

In tutta la Sicilia, con qualche eccezione che celebra più avanti nell’anno U JORNU DI LA STRINA, o Jornu di la Vecchia  (24 dicembre o I gennaio, un’equivalente della nostra “Befana”), si festeggiano il  2 novembre i defunti propri e dei propri luoghi familiari. In passato persino con dei banchetti davanti alle tombe, nei cimiteri. (S. Ambrogio li proibì espressamente, tanto e largamente si ritenevano diffusi in tutta Italia).
Un connubio di ricordo per gli antenati, di desiderio di preservare il futuro dalle incertezze dell’anno che entra (si comincia a seminare il giorno dei morti) e di attaccamento alle tradizioni che vanno indietro fino ai romani, ai greci, alle matrici indoeuropee.
I bambini, come le giovani fidanzate, aspettano dolci, giocattoli, regali di ogni tipo.
La festività, probabilmente  legata anche al Calendario celtico, che spostò dal 13 maggio al 31 ottobre la fine dell’anno, presenta, dunque, nella fantasia popolare della terra di Sicilia gli esiti  di un’unione profonda, anche quando subita, con i tanti popoli che vi si avvicendarono.
A sottolineare quanto sia diffusamente radicato il culto dei morti anche la Chiesa, proseguendo limitati precedenti dell’Impero carolingio e monastici, ha ritenuto con Sisto IV di prendere ufficialmente e definitivamente atto, nell’ Ordo Romanus,  nel 1475 delle varie tradizioni popolari che attestavano la grande continuità fra i fedeli e chi li ha preceduti.

Armi santi, armi santi,
iu sugnu unu e vu atri siti tanti
Mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai
Cosi di morti mittitiminni assai

Anime sante, anime sante,
Io sono uno e voi siete tanti
mentre sono in questo mondo di guai
cose di morti mettetemene assai

La speranza di ogni fanciullo di trovare quanto più desidera, un tempo ancor di più rappresentata da abiti, scarpe e da mangiare, si trova appagata nelle case o, secondo le usanze, sui davanzali siciliani la mattina del 2 novembre.
Dopo buoni propositi e la partecipazione alle devozioni con le famiglie, la meta, come per la ricerca di un tesoro, si presenta sovente per i bambini con molte ricerche nei vari angoli, dentro i vecchi guardaroba, nelle cantina, sotto i letti, insomma nei luoghi più nascosti. Frutti colorati di martorana, la pasta di mandorle o reale che una tradizione vuole inventata dalle suore della “Martorana”, scarpine di zucchero, cavalli e cavalieri di zucchero cotto, coloratissimi e impennacchiati, biscotti che ricordano le ossa dei morti, “crozze ri morti”, danno un quadro preciso di un mondo che si rappresenta incantato, accessibile soprattutto ai bambini per comunicazione diretta per offrire loro un poetico senso della morte e la prospettiva di una continuità con i parenti defunti e, insieme ai poveri (ai quali viene fatta l’elemosina in cibo), una speranza di futuro,
nella garanzia degli affetti sempiterni e delle vite passate. Chiedendo, al tempo stesso, alla purezza dell’infanzia, alla giovinezza, ed alla semplicità dei poveri la garanzia di meritarsi, tutti, tale avvenire.

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