L’”identikit” elaborato dalle indicazioni del serial killer, il camionista Keith Hunter Jesperson, condannato ad otto ergastoli per altrettanti omicidi di donne, porta, non al riconoscimento di Ylenia Carrisi, ma a riconoscere la “compatibilità” con la sua immagine conosciuta. Manca il DNA che, tutti i componenti della famiglia hanno provveduto a trasmettere agli inquirenti d’oltre oceano, ma anche la “messa a confronto” di questo, con quello ricavato dalle ossa della donna uccisa, se sarà confermata, darà una “compatibilità” e, con tale “compatibilità”, sfatiamo, una volta ancora, l’”infallibilità” dell’identificazione e dell’individuazione mediante questo strumento.
È una storia triste e angosciante, come tutte quelle di questa natura, che lascerà, come si presume, Al Bano e Romina Power e il resto della famiglia, sgomenti.
Ma, a volte, la vita, pur nella sua smisurata meravigliosità, è crudele e la maggiore crudeltà consiste del fatto che ai genitori di Ylenia, pur nella tragedia che stanno vivendo, il pubblico chiede, comunque, il loro volto pubblico e non quello privato che, immaginiamo, sarà diverso….
In questa vicenda in cui l’orrore si mescola in tutte le sue forme, una cosa, noi, persone comuni, ci chiediamo e non vi troviamo risposta.
Come può e cosa spinge una ragazza come Ylenia Carrisi, piena di tutti i pregi e le qualità che la natura può concedere ad un essere umano, a cambiare vita?
La logica non ci può fornire alcuna risposta e l’intera, umana vicenda, resterà sconosciuta per sempre…