Salvemini attraversava tutte le ideologie

8 settembre: 135° anniversario della nascita di Gaetano Salvemini. Per celebrare l’evento proponiamo la rilettura di alcune pagine del pregevole libro del sen. prof. Gaetano Quagliariello

SALVEMINI AVVERSAVA TUTTE LE IDEOLOGIE

“…Per comprendere ancora più a fondo le ragioni delle critiche di Salvemini nei confronti dei nascenti partiti, è necessario riferirsi più da vicino ad alcuni degli avvenimenti che segnarono la convulsa transizione italiana. Le conclusioni alle quali era giunto il congresso del Cln, riunitosi a Bari il 28 gennaio del 1944, non gli erano spiaciute.
Salvemini non si nascose il carattere di compromesso dell’accordo finale votato18. L’affermazione fa comprendere bene19.23. In queste affermazioni però non vi era soltanto all’unanimità, scrivendo a tal proposito: Il congresso si conchiuse con un voto di compromesso. Nessuno domandò la sospensione dell’autorità regia sul continente, ma tutti furono d’accordo a domandare l’abdicazione immediata del re. Tutti d’accordo anche a rinviare alla fine della guerra e ad un’Assemblea Costituente il problema istituzionale
A caldo gli parve che nella vicenda della sua povera e martoriata patria fosse finalmente filtrato un raggio di luce. Ne diede atto agli uomini che quella soluzione erano riusciti ad assumere con queste parole: “L’Italia ha bisogno di “caratteri difficili”, persone come De Gaulle e non come Quisling che sappiano dire e ripetere tenacemente una sola parola “no, no, no” perché egli, poco dopo, rimase invece profondamente deluso dalla soluzione istituzionale che si raggiunse a seguito, da un canto, dell’azione di Croce, Sforza e De Nicola e dall’altro della cosiddetta “svolta di Salerno” voluta da Togliatti.
La reazione di Salvemini fu violentissima. Tornò a contestare la legittimazione dei sei pseudoleader “che si erano attribuita la rappresentanza del popolo italiano” Spese il suo sarcasmo contro Croce e Sforza. Affermò senza giri di parole che Togliatti era giunto a Napoli con le istruzioni di Stalin. Ritenne, infine, la soluzione di servire sotto un luogotenente non meno discreditato e più ridicolo del re come la peggiore conclusione possibile. A posteriori è evidente che da quel momento in poi Salvemini iniziò a giudicare i partiti come veicoli di continuità che avrebbero progressivamente piegato le residue possibilità di rinnovamento della vita istituzionale del Paese.Per quel che attiene alla definitiva conquista della centralità istituzionale da parte dei partiti, fa testo l’analisi che egli sviluppò in una lettera indirizzata a Ernesto Rossi nell’agosto del 1946:
Non appena Bonomi diventò presidente del Consiglio, il comitato cessò di essere il governo nell’Italia centrale e meridionale. Bonomi lo accantonò e la crisi del dicembre del 1944 fu la prova di questo accantonamento.Rimaneva la resistenza del nord, che non poteva essere abbandonata. Grazie ad essa, nella primavera del 1945 il Cln riaquistò una voce che aveva perduta nel dicembre precedente. Si servì di quella voce per fare lo sproposito inaudito di fare Parri primo ministro. L’effetto si vide nel dicembre successivo. Parri fu messo alla porta e il Cln cessò di essere preso sul serio in Italia e all’estero.
Ma quel che ai suoi occhi appariva più grave è che quella centralità conquistata nel 1944, e non disdetta nel 1945 al momento della riunificazione delle due Italie, sarebbe stata immediatamente spesa per affermare il principio della continuità dello stato, costituendo in tal modo il canale attraverso il quale pratiche e legislazione del periodo fascista sarebbero giunte a condizionare la stagione repubblicana. Riflettendo a freddo sulla successione tra fascismo e repubblica, Salvemini scrisse: Il regime postfascista, pertanto, ne accettava l’eredità. Nessun comitato di liberazione nazionale, nessuno dei ministri obiettò quella dichiarazione
E nessuno dei governi succeduti a quello di Bonomi disdisse mai quella dichiarazione. […] Intanto tutta la legislazione fascista rimaneva intatta, pronta ad esser tirata fuor dai vecchi armadi, non appena la macchina dell’amministrazione fosse stata ricostruita. Qualunque governo totalitario sorga domani non avrà bisogno di elaborare nessuna nuova legislazione […] gli italiani vivono oggi in uno stato di libertà provvisoria. L’esasperazione di quest’analisi fu sostanziata dalla convinzione che i partiti stessi e in particolare i due che presto si sarebbero proposti come i soggetti dominanti del nuovo sistema – rappresentassero in sé degli elementi di continuità con il tempo nel quale l’Europa era stata percorsa dalle tirannie. Salvemini criticò che i partiti sorti nel dopoguerra fossero troppo connotati ideologicamente.
E sin dai primi passi della transizione verso la democrazia affermò chiaramente che “le ideologie sono malattie da cui difficilmente si guarisce”. Nel 1946 ribadì il medesimo concetto ad Egidio Reale. Aggiungendo come all’ombra dell’ideologia stesse fiorendo l’opportunismo:
Un partito oggi, in Italia, è un gruppo di uomini che presentano la propria candidatura a ministri o per lo meno a sottosegretari o per lo meno a portieri di un qualunque ministero. Bisogna far punto e a capo. Formulare alcune idee semplici e chiare su problemi essenziali più urgenti, battere su quelle idee, e criticare le carenze degli altri partiti sulla base di quelle idee.
Niente nuove chiese una meccanica riproposizione della categoria del “problemismo”, la quale, come si è visto, egli aveva elaborato già ai tempi dell'”Unità”. Vi era anche il più specifico timore che il Pci e la Dc potessero divenire il tramite attraverso il quale consistenti “residui” di totalitarismo giungessero a permeare la politica italiana del dopoguerra. Sin dagli inizi, e in particolare dopo la “svolta di Salerno”, Salvemini ebbe chiara la dipendenza dei comunisti italiani dall’Unione Sovietica…”

dal libro “Gaetano Salvemini”, Ed. Il Mulino, Bologna 2007, pag. 252-253-254

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